Voci dal Serraglio: Vincenzo Sica e i tori dell’Orfanotrofio rubrica a cura di Olga Chieffi - Le Cronache
Salerno

Voci dal Serraglio: Vincenzo Sica e i tori dell’Orfanotrofio rubrica a cura di Olga Chieffi

Voci dal Serraglio:  Vincenzo Sica e i tori dell’Orfanotrofio rubrica a cura di Olga Chieffi

Il piccolo ospite dell’Orfanotrofio si incantava dinanzi al Toro Arcione che si faceva avvicinare solo dal Commendatore Alfonso Menna, nella fattoria che serviva l’Istituto sita a Monte d’Eboli

Di Vincenzo Sica

Sono stato in Istituto solo tre anni dal 1967 al 1970, dove ho frequentato le scuole elementari, prima nelle vecchie aule situate sopra la tipografia, terza e quarta, quindi, la quinta nelle aule nuove sopra la lavanderia, vicino al campo sportivo. In quel periodo  la vita era triste e mia madre fu costretta ad affidare me, secondo di otto figli in orfanotrofio. Ero l’unico ad essere stato “chiuso” all’Umberto I, particolare non da poco, per questo ero triste e affatto felice di questa situazione, ma il bisogno c’era poichè erano tempi di magra. Ricordo ancora oggi quando vado da mamma che abita sotto lo stradone a Canalone, le mura ormai ingiallite  dal tempo, imperiose rimaste a ricordo di una istituzione che non esiste più, cercando d’intuire dove fossero situate le aule della quinta classe mi sovviene la figura del  professore Rivelli, un grande omone alto e ben tarchiato, con i suoi baffetti bianchi,  sempre con un sorriso, non burbero non cattivo, ma ligio alla disciplina alle regole, studiavamo tanto, e combinavamo anche tante marachelle, eravamo piccoli e questo lui lo comprendeva e ci spronava sempre a fare bene. Quando c’era da ricevere bacchettate per un comportamento non buono fioccavano e come, un ricordo ancora oggi forte che mi fa ancora sorridere è il momento della ricreazione, in fila rigorosamente per due rigorosamente in silenzio, pena la mancata ricreazione, ma il bello che la stessa la andavamo a fare sul campo sportivo, con  il pallone trascinato di nascosto tra i nostri piedi con un attenzione per non farci scoprire, altrimenti veniva sequestrato. Ma il professore Rivelli lo sapeva e stava al gioco, appena arrivati nel campo subito a correre e giocare con le squadre fatte in un batter d’occhio, e giocavamo quei venti minuti con tanta  gioia, poi, trascorso il tempo di ricreazione assegnata, si vedeva il professore dall’alto della balconata con uno stentoreo richiamo, far rientrare tutti in aula subito, e noi sudati, ma felici ritornavamo sempre in fila per due e sempre in rigoroso silenzio. Ricordo ancora un’altra figura carismatica, il professore Petruzzelli alto snello sempre sorridente,  lui era il Maestro della terza elementare, bravissima persona che ho incontrato anche fuori, nel corso della mia vita lavorativa, poiché veniva a fare la spesa nella salumeria dove lavoravo,  una volta uscito dall’istituto, con la sua frase mi raccomandava di fare il bravo, altrimenti sarebbero state bacchettate, ma nel dirlo il suo volto si accendeva di un sorriso paterno. Mi balena con affetto anche l’istitutore Mastrogiovanni, basso tarchiato sempre con la musica sulle labbra a canticchiare  do, re, m,i fa passeggiando  e macinando chilometri e chilometri in villetta,  poi quando ci chiamava in adunata  tutti in fila squadrati con  i caposcelti  Porcelli, Viscito e Prinzo  che impartivano l’ordine di marcia, uno due, uno due, cadenza, svolta sx  a dx,  e noi tutti insieme a marciare come tanti soldati ma piccoli, tanto che quando sono andato al militare ero già allenato a tutti i comandi. Mastrogiovanni, insieme  al mai dimenticato Gregorio, ci volevano bene, ci portavano in gita a passeggio, fuori dall’istituto per farci trascorrere dei momenti felici e gioiosi,  ci insegnavamo  delle canzoncine che noi tutti cantavamo in autobus, quando ci portavano alla fattoria di monte d’Eboli  che faceva così: “ Romba il motore si và si và per piano e monti  per città, nei nostri cuori la gioia sta o come è bello il viaggiare, andare in allegria andare senza pensieri cantare giocare in lieta compagnia vedere il mondo come bello è,  è questa la nostra meta, è questo tutto il perché che da Salerno ci portò lontani e pieni di gioia ci riporterà” (qualche parola l’ho dimenticata, ma vi assicuro che è tutta nella nostra testa di serragliuoli). Alla fattoria altro momento bellissimo. Eravamo liberi di correre liberi di scherzare, il momento più bello il pranzo al sacco rigorosamente salutare panino acqua frutta che noi divoravamo.  C’erano tanti animali galline, mucche e queste davano latte e uova per il nostro desinare e anche tanta frutta e ortaggi che venivano utilizzati per il fabbisogno dell’istituto. Oggi non so che fine abbia fatto la fattoria come tutto l’orfanotrofio e le sue attività eliminate, tanta storia perduta. C’era   il famoso toro Arcione che si faceva avvicinare solo dal commendatore Menna e naturalmente da chi lo accudiva. Gli  altri dovevano stare ben lontani se correvano erano incornate.  C’erano altri due tori meno famosi ma anche loro con nomi altisonanti: Amman e Alfred, c’era tanto benessere tutto merito del nostro compianto e mai dimenticato Presidente Alfonso Menna. Tanti episodi da raccontare tante esperienze vissute in un istituto che, per noi era a quel tempo che trascorreva come un momento di reclusione, ma che oggi si è rivelato molto importante per me e per tanti altri. Ciao caro Serraglio ciao Caro orfanotrofio Umberto I, ormai solo chiudendo gli occhi si odono le voci, le marce, i passi, le grida, i suoni di tanti ragazzi che correvano, marciavano giocavano litigavano, ma sempre insieme uniti da amicizia e fratellanza, la voce flebile è viva e forte nel cuore.