Voci dal Serraglio: Donato Di Stasi Rubrica a cura di Olga Chieffi - Le Cronache
Salerno

Voci dal Serraglio: Donato Di Stasi Rubrica a cura di Olga Chieffi

Voci dal Serraglio: Donato Di Stasi               Rubrica a cura di Olga Chieffi

Le memorie di un istitutore

Gli sguardi rivolti all’ istituto che domina la città si tingono di nostalgia. Sarebbe bello invitare all’inaugurazione dell’Auditorium che ne occupa gli spazi i maestri che si formarono in quel prestigioso magistero musicale

 

Di Donato Di Stasi

Ogni volta che passo vicino all’ex Orfanotrofio Umberto I sito in via De’ Renzi, o che lo osservo dal Lungomare o ne leggo il nome, provo un’emozione unica e sempre intensa, che mi porta a tempi passati, ma che nel mio cuore sono sempre presenti e legati a fatti e persone indimenticate ed indimenticabili. Sono convinto che i miei ricordi ed i miei sentimenti siano molto simili a quelli molto diffusi nel cuore di tantissimi salernitani, della città e della provincia, sebbene con motivazioni ed intensità diverse. Quello che tale Orfanotrofio è stato, è parte importante della Storia di Salerno e dei Salernitani e vorrei tanto che quel complesso divenisse di nuovo centro e punto di riferimento per la città ed entrasse almeno un poco nel cuore di tutti, specie di quelli che non sanno che cosa è stato nel passato. I miei ricordi partono dal 7 gennaio 1964, quando io, appena ventenne, diplomato ed iscritto alla Facoltà di Lettere, iniziai a lavorare in quell’Istituto e, studente – lavoratore, vi rimasi fino al 1967 incluso. Svolgevo le funzioni di Istitutore, naturalmente non di ruolo. Percepivo un stipendio di 30.000 lire al mese (una bella cifre allora!), oltre a vitto ed alloggio, con obbligo di pernottamento nella camerata (piuttosto affollata) dei ragazzi. Lì, durante quegli anni, ho fatto le esperienze umane e sociali più importanti e formative della mia vita, che mi hanno aiutato poi, e non poco, in tutto, ma particolarmente nel mio ruolo di genitore e docente. C’erano in quell’istituto centinaia di ragazzi, in alcuni periodi anche 700, dai sei anni e fino ad oltre venti, alcuni orfani, altri no, ma tutti bisognosi specialmente di affetto e di guida. Ognuno aveva la sua storia, i suoi problemi, e non da poco, e spesso anche le sue tragedie. Ricordo che, in talune circostanze, Alfonso Menna, uno dei grandi Sindaci di Salerno, ma allora anche Presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Orfanotrofio, che, prima e meglio di me aveva studiato pedagogia e psicologia, con la stessa premura ed attenzione di un padre, spesso alla presenza anche di Padre Beda De Simone e del Rettore, mi chiedeva: “…ma i pedagogisti e gli psicologi come consigliano di comportarci in casi come questo?”. Com’era difficile aiutare quei ragazzi; spesso la teoria sembrava semplice, ma la pratica era sempre complicata. Nell’Umberto I di quegli anni si rifletteva l’altra immagine dell’Italia, non quella del boom economico, ma quella della povertà, delle difficoltà, dell’abbandono, non rassegnata, però, ma dignitosa, fiduciosa nelle proprie volontà e capacità e convinta di poter vivere anch’essa riscaldata dalla luce del sole e confortata da una giusta felicità e coronare i propri sacrifici attraverso una vita onesta e dignitosa. Intanto, purtroppo, non mancarono le disillusioni e le debolezze. Però ricordo che in moltissime situazioni la cosa che ci aiutava tantissimo era il dialogo con i ragazzi, era l’unico modo per non farli sentire soli, per aiutarli a vivere e ad affrontare le vicende, anche non belle, con una certa serenità e consapevolezza. Solo il dialogo, specialmente quando è confortato dalla fiducia reciproca, consente di distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, il serio dall’ingannevole, l’umano dal volgare, e permette di immaginare dei percorsi di vita e dei ruoli umani e sociali che permettano di vivere a fronte alta e di parlare con la faccia e la coscienza pulite. La domenica, giorno di visita dei familiari; per molti era una festa, con la mamma e/o altro familiare, che, partendo anche da molto lontano, per esempio da Camerota, portavano affetti, un bacio, i biscotti; ma per tanti, troppi, mancava anche quello e c’era il dolore di rimanere soli anche la domenica. Non raramente capitava che noi istitutori, di ruolo e non, ce ne portavamo qualcuno a casa nostra per far respirare loro, sebbene per un poco, il calore di una famiglia. Siccome la mia famiglia viveva a Felitto ed io non avevo la macchina, portavo qualche ragazzo con me il fine settimana o durante le vacanze. Io ho ringraziato sempre Dio per aver avuto l’opportunità di vivere per alcuni anni nella grande Famiglia dell’Orfanotrofio Umberto I. Tutti quei ragazzi, spesso anche opportunamente aiutati e guidati, erano molto volenterosi e, superati anche i momenti di sconforto e malinconia, erano bene intenzionati ad apprendere un mestiere, una professione, un’arte, che consentisse loro di vivere un dignitoso futuro, Alcuni da apprendista frequentavano, all’interno dell’Istituto, la Falegnameria, o la Sartoria, o la Calzoleria, i cui Maestri, con l’aiuto dei discepoli, provvedevano al fabbisogno continuo di quella numerosa famiglia. Altri frequentavano, invece, la Tipografia interna, nota in tutta la regione per i suoi pregevoli ed artistici prodotti. E non a caso quest’arte è stata poi praticata con merito, onore e gloria da alcuni valenti Salernitani, già allievi dell’Umberto I. Altri ancora, frequentavano l’annessa Scuola di Ceramica. Tanti giovani nel tempo hanno onorato con il loro abile ed intelligente lavoro non solo quelle Arti, ma anche la città di Salerno e la Campania. Ma moltissimi giovani ospiti dell’Umberto I, inoltre, seguiti da valentissimi Maestri, frequentavano le aule dell’annesso Conservatorio, ivi già presente allora, sebbene come sezione staccata di quello di Napoli. E c’era anche la Banda, che non solo era presente a tutte le più importanti manifestazioni nella città di Salerno, ma, specialmente d’estate, era molto impegnata ovunque e sempre riscuoteva successi, apprezzamenti e simpatie. E fu proprio allora che io mi avvicinai alla musica e me ne innamorai e le mie ore più belle, libere dal lavoro, erano quelle che trascorrevo in “Sala Concerti” ad assistere alla prove di quella Banda – Orchestra diretta dal maestro Amaturo. Tantissimi ragazzi, con impegno e sacrificio, si diplomarono e divennero veri Maestri di Clarinetto, di Oboe, di Fagotto, di Tromba, di Basso, di Flicorno di Saxofono, di Pianoforte e di tanti altri strumenti. In certe ore passeggiando nella Villetta si veniva allietati a lungo dal suono dei tanti strumenti suonati dai ragazzi, strumenti che intanto erano diventati parte integrante ed essenziale della personalità e della loro vita. Quei giovani, grazie alla loro preparazione ed alla loro bravura, trovarono poi collocazione stabile e brillante nelle più prestigiose Bande ed Orchestre italiane, come nella banda dei Carabinieri, in quella della Finanza, in quella dell’Esercito, oppure nell’Orchestra della Scala, o in quella del San Carlo, o in quella di Santa Cecilia, o in quella della Rai, ed in altre altrettanto prestigiose. Mi capitò spesso, durante gli anni settanta, incontrare a Roma, o sul treno della linea Salerno – Roma, giovani Maestri formati nell’Umberto I di Salerno, oppure, poichè insegnavo a Bergamo e capitavo spesso a Milano, li incontravo in questa grande città. Divertente ma anche emozionante fu una volta l’incontro a Piazza Duomo con Romano Parisi ed alla mia domanda cosa facesse a Milano mi rispose che viveva a Milano perché suonava alla Scala. Non dimentico, poi, quei tantissimi bravi Maestri che hanno brillantemente insegnato Musica nelle scuole del Salernitano ma anche dell’Italia intera. Alberto Moscariello ed il compianto Cassio Cosimo Prinzo vennero ad insegnare Musica anche a Felitto. Quanti giovani provenienti dall’Umberto I hanno onorato Salerno e la Campania nel passato e continuano ancora a farlo. Solo per questi brevi cenni di ricordi personali, l’Umberto I° dovrebbe essere per Salerno ed i Salernitani un luogo sacro da onorare in ogni momento. Proviamo a chiederci: quante persone, che oggi vivono in tutto il Salernitano ed anche altrove, sono state in quell’Orfanotrofio e ne portano nel cuore ricordi belli e meno belli, ma sicuramente vissuti anche con nostalgia e con un alto senso della comunità e della fratellanza? Tante migliaia. Sono certo che tantissime persone ogni giorno, passeggiando per il Lungomare e volgendo lo sguardo verso il rione Canalone ed osservando la torretta dell’orologio di quello che fu “il Serraglio” prima e l’Orfanotrofio Umberto I° poi, provano nell’animo sentimenti di forte emozione. A volte, quando meno me lo aspetto, mi accorgo di pensare a quegli anni e ricordare tante cose, che mi rallegrano o mi rattristano, ma sempre piacevoli e gradite. E ricordo la gioia dei ragazzi che la domenica accompagnavo allo stadio Vestuti ad assistere alla partita della grande Salernitana di Pierino Prati e Tom Rosati; e ricordo gli Istitutori ( Birra, Caso, Fasulo, Gregorio, Melchionna, Roberto, Trimarco), che si adoperavano ed impegnavano per i ragazzi o che, talvolta, temevano che il ragioniere Vitale potesse distribuire lo stipendio con ritardo oppure, che il dottore Scarpetta potesse fare l’orario di lavoro non proprio rispondente ai loro desideri; e ricordo don Giacinto Danise, che gradiva fumare in particolare le sigarette che gli offrivamo noialtri; e ricordo l’infermiere Lambiase, che un giorno imprecava  in modo molto risentito contro un albero, reo di essersi trovato proprio là dove era uscito di strada con la macchina. E ancora, i cari custodi, Benito, (detto don Helenio per il suo tifo per la grande Inter), calmo e tranquillo ma che spesso sportivamente si attaccava con Mastro Gipo, (cioè Antonio Gregorio, detto così perché tifoso del Milan); Monetti, dalla parlantina facile e simpatica, ma il più caro era Giovanni Menna, che spesso ho poi incontrato mentre faceva il giro della Valle del Calore in bicicletta, con partenza ed arrivo  a Salerno; Giovanni fece pure il giro d’Italia in bicicletta, presentato anche alla TV; un vero eroe Giovanni, se pensiamo che aveva una sola gamba! E ricordo ancora il Rettore Ricciardi, specie per gli utilissimi consigli che mi diede, e padre Beda De Simone e le suore, che spesso volevano fare la voce grossa, ma dimostravano subito di avere un cuore tenerissimo. Io, per un motivo o per un altro, prima o poi, ho visitato tanti Paesi della Provincia di Salerno ed ogni volta ricordavo ragazzi che erano stati all’Orfanotrofio; sono convinto che tutti i Comuni Salernitani hanno avuto almeno un loro figlio all’Umberto I. Ho saputo che in quegli spazi sono state realizzate delle Sale Concerto – Auditorium belle e moderne, ma che ancora non sono state inaugurate. Quanto mi piacerebbe che i responsabili e quelli che ne hanno la disponibilità e l’autorità organizzassero dei Concerti riservati a coloro i quali in passato hanno preso parte, a vario titolo, alla grande famiglia dell’Orfanotrofio; e non solo, ma invitassero a esibirsi quei grandi Maestri che là si sono formati e che oggi sono ovunque molto amati ed apprezzati. Sarebbe tanto bello che almeno per un giorno la grande famiglia dell’Umberto I si ritrovasse affettuosamente in quel luogo così importante nella vita di ciascuno e legato a tanti ricordi. Sarebbe un giorno di un’insolita ma importantissima festa che solo chi è stato là può veramente vivere nel proprio cuore, che dovrà essere anche forte per sostenere quel turbinio di emozioni e sentimenti che al solo pensiero provoca tanti piacevoli brividi.