VOCI DAL SERRAGLIO: Armando Cuffa Rubrica a cura di Olga Chieffi - Le Cronache
Salerno

VOCI DAL SERRAGLIO: Armando Cuffa Rubrica a cura di Olga Chieffi

VOCI DAL SERRAGLIO: Armando Cuffa  Rubrica a cura di Olga Chieffi

Armando Cuffa: profumo di pane

Luci e ombre sulla vita al Serraglio, dell’ aspirante tipografo . La sera ci si appostava per sottrarre qualche panino da consumare la mattina successiva durante le ore di lezione

   

Di Armando Cuffa

Sono veramente innumerevoli i ricordi, le emozioni, i piccoli momenti che come flash compaiono, dei nove anni trascorsi all’Orfanotrofio Umberto I, dal 1961 al 1970. Durante le scuole medie fino alla seconda, sono stato in tipografia dove svolgevo   il compito di compositore e ricordo questo momento con piacere, poichè veniva distribuito sempre del latte in più, per via del piombo, poi ho lavorato anche sulla macchina  Linotype, ma una volta diplomato, ho fatto tutt’altro e rivivo con piacere e anche rammarico, questo periodo di vita dove tra luci ed ombre ho conosciuto tanti amici che ho ritrovato grazie anche al sito FB degli ex Allievi.  Tra i tanti episodi mi viene ora alla mente con lucidità,  quando eravamo ragazzini di otto anni, appena, e avevamo sempre fame.  Ci appostavamo in   in cucina per procurarci del pane, che sapevamo custodito in grosse madie dalla mitica suor Elda, unitamente agli addetti alle dispense, sempre attenti e vigili. Insieme a qualche amico, ci recavamo, allora, nelle vicinanze della porta e stavamo attenti a cogliere l’attimo che ci permettesse di poter, con scatto felino, sottrarre qualche profumata pagnottella poi, la sera, conservavo alcune fette di mortadella  in tovaglioli di stoffa, in modo da poter farcire i panini la mattina e arricchire la colazione. Ero molto insofferente alle rigide regole dell’istituto e aspettavano la domenica per la visita dei parenti. Mia madre veniva a piedi dal quartiere Torrione per portarmi dei dolci, ed io che ero triste e ce l’avevo con il mondo intero, poichè non volevo stare chiuso al Serraglio, li schiacciavo sotto i  piedi, in senso di ribellione al luogo. Volevo andare a casa con lei, mi mancava il suo affetto, mi mancava la famiglia, mamma assai dispiaciuta di ciò, mi rincuorava  e mi stringeva forte: io non ero consapevole di darle un grande dolore e non potevo immaginare con quale animo la facessi ritornare a casa.