Alla lettura della sentenza era presente anche il procuratore capo Masini. A segnalare l’importenza del processo in cui molto si era speso il Pm Senatore. I giudici della seconda sezione penale del tribunale di Salerno hanno condannato a 12 anni Dante Zullo (la richiesta era di 16), 7 anni al figlio Vincenzo (richiesta di oltre 10 anni), 7 anni e 3 mesi a Vincenzo Porpora (12 anni e 6 mesi la richiesta), mentre sono stati assolti Lucia Zullo (richiesta di 5 anni) e il collaboratore di giustizia Antonio Sorrentino (1 anno la richiesta del Pm). Cade però l’accusa dell’aggravante dell’articolo 7, il metodo mafioso. E questo è un successo che porta a casa la difesa (avvocato Teresa Sorrentino). Le accuse per il boss amante dei cavalli e degli altri imputati era di usura ed estorsione aggravate dal metodo mafioso, mentre per Sorrentino vi era l’intestazione fittizia di beni. Confiscate delle quote societarie oggetto del processo e anche di cambiali, assegni, orologi e altri beni di valore che la Dia ha sequestrato nel corso delle indagini. Il capo individuato era Dante Zullo, in grado di adoperare la sua statura criminale per coinvolgere nelle sue attività illecite le iniziali vittime dell’usura, come Porpora, gestore e titolare di una pescheria a Cava, risucchiato dai prestiti usurai per 6800 euro rimpinguati poi dall’interesse previsto e rivendicato per 3800 euro con forniture di merce di pesce e della pretesa riparazione di una autovettura. Secondo le indagini svolte dalla Procura, Zullo incontrava poi Giovanni Sorrentino proprio tramite Porpora, ottenendo denaro, autovetture, cavalli e un garage, per un valore complessivo di 150mila euro. L’imprenditore era poi costretto a intestarsi beni di Zullo, mettendo a disposizione dei suoi estorsori conti correnti. Nel 2015-2016 le ditte di Sorrentino dovevano poi giocoforza assumere i due Zullo e la moglie del presunto boss, pagandoli con tanto di contributi previdenziali “in assenza di qualunque prestazione di lavoro effettiva”. Tutto questo concretizzava l’asservimento agli Zullo di Sorrentino, con una società finita nel mirino della Procura, la Sorrentino Car, per riciclaggio. Sorrentino poi aveva deciso di collaborare. In udienza Sorrentino ha confermato le accuse indicando un flusso di soldi sporchi che collegherebbe la camorra napoletana e casertana (i clan Moccia e Nuvoletta) a Cava de’ Tirreni, passando per la “lavanderia” delle attività usurarie degli Zullo e transitando su conti correnti “amici” per eseguire operazioni finanziarie all’estero. Poi ha fatto i nomi di altri usurai: lo scafatese Vincenzo Catania e i cavesi Domenico Caputano e Gino Montella (avvocato e procuratore sportivo), tutti indicati come figure che gravitavano nell’orbita degli Zullo
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