Tetti di spesa: la Regione ammette il suo errore - Le Cronache
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Tetti di spesa: la Regione ammette il suo errore

Tetti di spesa: la Regione ammette il suo errore

di Peppe Rinaldi

 

La notizia secca è che la Regione Campania ha dovuto mettere una pezza ad un errore di calcolo (suo), peraltro conosciuto da tempo, sui tetti di spesa consentiti ai centri privati accreditati nel comparto riabilitativo e socio-sanitario. Metterci una pezza significa tirar fuori più soldi: dai circa 11 milioni si è passati ai quasi 15, quattro milioni in più da distribuirsi alle strutture legittimate. Teoricamente servizi in più per gli utenti e piccole boccate d’ossigeno per le casse di molti: almeno fino alla prossima lite con l’Asl perché, si sa, con quegli uffici è guerra continua, a volte a giusta ragione (la fauna che popola le amministrazioni di queste strutture in Campania ‘obbliga’ alla prudenza) altre volte per il suo contrario. Infatti, s’è dovuto infilare il miliardesimo ricorso al Tar per chiarire una serie di cose (alcune molto tecniche, dai tempi di pagamento a certe clausole platealmente vessatorie, alle forme delle rimesse finanziarie alla tempistica, etc) nei rapporti tra strutture accreditate e Regione, passando per le Asl. Il tribunale amministrativo di Napoli ha stabilito (ordinanza n. 2018/2014) la sospensione del decreto n.90/201, avente ad oggetto la determinazione dei tetti di spesa per l’anno 2014, dopo il ricorso presentato da “Nova Campania”, associazione tra centri di riabilitazione presente in quasi tutte le province, dal profilo un po’ particolare tenuto conto della qualità delle strutture iscritte, dei requisiti per accedervi, del target finanziario e gestionale, della competenza giuridico amministrativa acquisita, il personale impiegato, la specializzazione e così via. Molti ricorderanno il trambusto pre-natalizio sotto la sede dell’Asl di Salerno ad opera di alcune strutture analoghe. Lo stesso sindaco De Luca, comprensibilmente, approfittò della ciclica protesta per un supplemento di visibilità politica al cospetto della «tragedia imminente per centinaia di disabili, per le loro famiglie e per i lavoratori» secondo la formula di rito scandita almeno un paio di volte all’anno dagli amministratori di queste strutture. Non è il caso, ora, di addentrarsi sull’origine del fenomeno e su quello che di retrostante s’è via via formato nel corso del tempo: basti dire che, osservando il tratto e la composizione di quella protesta, accanto a nomi noti comparivano anche strutture -come dire?- opache, non proprio campionesse di ortodossia quanto al rispetto dei requisiti di legge per incassare soldi pubblici (dice niente, tra altri, il centro Ises di Eboli, sceso pur esso in piazza?). Ma questa è un’altra storia, benché all’origine di diversi guai attuali. Ora, sembra in quei giorni fosse stata risolta la questione e si sapesse che la Regione avrebbe sistemato il tutto con un decreto correttivo dell’errore: e il baccano in via Nizza, il traffico ingolfato, gli striscioni, il disastro alle porte, i disabili abbandonati al loro destino? Tornando al tema, il Tar ha rilevato che la Regione ha ammesso l’esistenza di alcuni errori e pertanto che «è in corso di imminente emanazione un nuovo decreto commissariale, modificativo del decreto gravato, contenente disposizioni migliorative per la remunerazione dei centri privati accreditati». Cosa in effetti successa pochi giorni fa. Ciò verificato, il Tar ha ritenuto «di dover acquisire il nuovo decreto e di sospendere nelle more il provvedimento impugnato onde non aggravare inutilmente la posizione economica dei ricorrenti». Un punto a favore degli operatori del settore dunque, che potranno calibrarsi su un tetto di spesa più alto per le prestazioni socio sanitarie grazie all’esito di questo ricorso. Certo, siamo alle solite, il punto sollevato formalmente (con aggravio di costi per quella stessa Asl, quindi per la parte pubblica, che annuncia una congrua riduzione del contenzioso) da “Nova Campania” lo conoscevano tutti, l’Asl, gli uffici regionali e i relativi massimi responsabili ma, dopo le chiacchiere, venivano solo le conseguenze dello stallo: danni per gli operatori, per l’utenza e il resto collegato. Sullo sfondo, i beneficiari -storici- del sistema: banche, finanziarie e tutto quel reticolo parassitario della burocrazia ingrassata nell’indifferenza di solitamente arcigni controllori.