Sull’ isola con Elio Germano - Le Cronache
Spettacolo e Cultura teatro

Sull’ isola con Elio Germano

Sull’ isola con Elio Germano

Non convince a pieno l’esperimento virtuale dell’ attore ospite della stagione Mutaverso di Vincenzo Albano, che ha proposto “Segnale d’allarme -La mia battaglia”

Di OLGA CHIEFFI

Questa coda d’inverno ha visto Elio Germano assoluto protagonista. Cosa lega il trionfatore della 70ma Berlinale, premiato con l’Orso d’argento da miglior attore per la sua straordinaria perfomance in “Volevo nascondermi” di Giorgio Diritti, e Salerno la nostra città? “Segnale d’allarme -La mia battaglia”, monologo filmato a Riccione scritto da Elio Germano e Chiara Lagani, proposto in forma virtuale per la regia di Omar Rashid, da Vincenzo Albano, quale evento della V Stagione Mutaverso Teatro, all’Auditorium del Centro Sociale di Salerno. “Se il teatro fosse una nave alla deriva e gli spettatori si ritrovassero nella condizione di naufraghi su un’isola deserta cosa accadrebbe?”. Questo l’incipit dello spettacolo di Germano, racchiuso in una scena essenziale, ove il bianco domina i pochi oggetti sul palcoscenico: una bottiglia, un leggio ed uno sgabello. mentre il pubblico reale con cuffia e mascherina si sente quasi “galleggiare” a mezz’aria nel teatro di Riccione, cercando di inseguire faticosamente un Elio Germano che attraversa nervosamente il corridoio centrale della platea. Nel suo discorso parla, infatti, immaginando il teatro come una grossa nave che sta naufragando, dove i sopravvissuti – il pubblico – approdano in un’isola deserta. E lo fa sciorinando battute su battute, molti luoghi comuni, suscitando l’ilarità dello spettatore, coinvolgendolo in discorsi in cui spesso ci si avventura, naturalmente con grande tecnica comunicativa. Germano intende conquistare la fiducia dello spettatore, ed iniziando a compiacere sempre di più il pubblico, questo lo riconosce come vicino alla propria mentalità ed inizia ad applaudire ogni qualvolta l’attore affermi un nuovo luogo comune. Sottolinea le criticità del nostro tempo, in cui i rapporti sono codificati dalle regole dei social, in cui l’importante è piacere, essere apprezzati dalla maggioranza; così anche la politica non privilegia le persone competenti, ma quelle in grado di convincere la massa del loro valore. Si diletta a discorrere di cucina, di meritocrazia, di qualità della gente, del dissesto economico e politico che stiamo attraversando. Disserta delle figure politiche di oggi con rimandi impliciti, parla di scuole, di insegnamenti buoni e pacifici per costruire una società modello, che sia migliore per il futuro dei nostri ragazzi e dei nuovi giovani che verranno, delle fughe di cervelli all’estero, del gorgo della disperazione e della crisi in cui siamo precipitati. Sull’ isola nasce, così, una comune dove tutti devono assumersi le proprie responsabilità e mettere sul piatto le proprie vere competenze, per sopravvivere bisogna sconfiggere l’indifferenza che ci attanaglia. Dovrebbe nascere la vera democrazia, la realizzazione dell’utopia del comunismo. Ma non è così. In un crescendo che ci ha ricordato la Calunnia rossiniana, il “venticello” della parola distorta, del linguaggio malato, quello condannato da Antonio Gramsci in “Odio gli indifferenti”, “che insensibile, sottile, leggermente, dolcemente, incomincia a sussurrar. Piano piano, terra terra, sottovoce, sibilando, va scorrendo, va ronzando; nelle orecchie della gente s’introduce destramente. E le teste ed i cervelli fa stordire e fa gonfiar”. Così è stato. Verso la fine della serata Germano inizia a farsi sempre più serio, lasciandosi sfuggire affermazioni fuori luogo su ebrei, musulmani e stranieri, inspiegabilmente approvate da una parte del pubblico per la maggior parte composto da claque preparata. Lentamente, risulta però chiaro il suo intento provocatorio di mettere in scena un comizio nazista. Il tono si fa più incalzante e le affermazioni più estremiste in un crescendo di angoscia e tensione che travolge gli spettatori fino al culmine della provocazione. Balenano tanti flash dinanzi ai nostri occhi. Uno è il film di Leni Riefenfstahl “Il Trionfo della volontà”, simbolo dell’idea hitleriana di “sangue e terra”, la fede intensa in ciò che egli chiama “natura”. Rivedere quel film come vedere lo spettacolo di Germano, anche se in questo esperimento virtuale, un po’ sfilacciato e con non poche forzature, nonostante l’eccellenza della performance attoriale, può far capire quali siano i mezzi usati per convincere, dare speranze, instillare sentimenti riuscire a gestire uomini provati dagli eventi. Dopo la Grande Guerra e tutto ciò che ne è conseguito, dalla Grande Depressione ai lunghi periodi di instabilità sociale, questo è quello che molti hanno voluto: la fine delle divisioni. La propaganda parla splendidamente allo stomaco, mai alla testa, non concedendo prove reali, ma chiedendo prove di fede. Conosciamo bene il prezzo che tale comunicazione ha fatto pagare ad altri e che oggi ancora scontiamo. Bisogna rendersi conto che la nostra cultura può essere svuotata del suo significato reale ed essere distorta, soprattutto ora, in un momento di difficoltà come questo, in una crisi economica che sembra non avere fine. Potremmo ricadere nella antica trappola di aver bisogno di qualcuno che risolva i nostri problemi, perché potremmo convincerci che noi non siamo in grado di farlo decidendo con la nostra testa, e qualche simbolo oscuro potrebbe ritornare. “Lo volete voi?” “No!”.