Stravinsky e Cajkovsky tra le dita di Valèry Gergiev - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Stravinsky e Cajkovsky tra le dita di Valèry Gergiev

Stravinsky e Cajkovsky tra le dita di Valèry Gergiev

La pioggia nega Villa Rufolo allo czar, accolto splendidamente dall’acustica dell’Auditorium Niemeyer. Programma per intenditori e platea in visibilio. Tra gli ospiti un emozionato Marco Tardelli

 Di OLGA CHIEFFI

 Valèry Gergiev sembra evocare, nelle sue ultime incursioni a Ravello la pioggia. Aveva appena preso in mano l’orchestra del teatro Kirov al suo debutto nel 1990 a Villa Rufolo, poi diverse volte invitato in questo lungo lasso di tempo, e se tre anni fa per inottemperanze amministrative il concerto fu annullato per pioggia, quest’ anno solo alle ore 19, si è deciso di allestire l’auditorium Niemeyer per il Concerto dell’ Orchestra del Teatro Mariinsky di San Pietroburgo con alla testa lo Czar, il quale grazie ad uno staff efficientissimo, è potuto andare in scena alle 20,30. Una vera fortuna per i musicofili, la “trubbea” di fine estate, che ha regalato al pubblico, la caratteristica principale di questa formazione, ovvero la ricerca timbrica e i virtuosismi di ogni singola sezione. E’ tutto un gioco di vibrazioni e deviazioni, delle dita e della mano sinistra che Valèry Gergiev, col solo aiuto di uno stuzzicadenti, attua. Tutto ha funzionato, rivelando il segno dei due autori scelti, Igor Stravinsky e la sua Petruska e Petr Il’ic Cajkovsky e la sinfonia Manfred, due partiture di difficile tessitura, rese da Gergiev, canalizzando unicamente le forze e le infinite potenzialità della macchina orchestra, facendole fluire e mai soffocandole, concedendo libertà interpretativa ad ogni singolo membro della formazione; empatico interprete di pagine esenti di un qualsivoglia simbolo, fregio, colore, taglio, ispirato custode, lo Czar, dell’idea del compositore. Petruška con Gergiev diventa paradossalmente gioco, che tiene e reagisce alla partitura orchestrale con una sapienza spiazzante. È un “altrove”, in dialettica continua, vicinanza e lontanza, ascolto e contraddizione, rispetto agli ottoni, alle percussioni, agli archi; è un “fluido fiume” che ha corpo e anima, in un vero “svelamento”, un attraversamento che si fa passaggio di stato, tra verità e finzione, tra vita e morte. Seconda parte della serata dedicata all’esecuzione della sinfonia in quattro parti da Byron, Manfred, che ha posto in luce attraverso gli incastri dei vari temi, le prime parti dell’orchestra, a cominciare dal Lento Lugubre con il clarinetto basso e il suo insistere sull’intervallo di quarta discendente, assieme ai tre fagotti all’unisono, agli ottoni nel più mosso, ai clarinetti nel Moderato, per poi passare al secondo movimento, il Vivace con spirito, uno scherzo leggero e trasparente affidato ad una briosa scrittura orchestrale d’alto virtuosismo, contrappuntata e dialogante tra archi e legni, per, poi, tornare all’idee fixe di Manfred, con corno inglese e clarinetto sugli scudi. Il terzo movimento è dell’oboe e delle viole con il 6/8 in sol maggiore, supportati dal clarinetto e dalle trombe, quasi minaccia d’uragano, per sfociare nell’ultimo tempo che tinge un paesaggio sonoro denso a valenza iper-romantica. Un abbraccio così forte e passionale, quello degli archi, che ha fatto spezzare una corda all’eccezionale Konzertmeister della serata, Lorenz Nasturica-Herschcowici, che imbracciava lo Stradivari “Rodewald” del 1713. La “squadra” si è subito attivata, il primo violino del “concertino” ha ceduto il proprio strumento alla spalla e lo Stradivari, di leggio in leggio, è giunto sino all’ultima violinista della fila, la quale ha sostituito la corda ed ha concluso il concerto con lo strumento di Lorenz. Applausi scroscianti per l’orchestra, i cui membri spesso scambiano i ruoli tra prime e seconde parti, a seconda del suono richiesto, come spesso avviene tra Lorenz e la splendida Olga Volkova, o tra gli strumentini, e tre chiamate al proscenio per lo Czar, che si è congedato dal pubblico senza bis. In platea anche un ammiratissimo Marco Tardelli, ospite, con la moglie Myrta di Domenico De Masi. “Non sono musicista – ha dichiarato uno tra i più amati campioni italiani – ma l’amalgama e la perfezione di questa orchestra mi ha profondamente impressionato”. Valèry Gergiev, in una intervista “pre-mondiale”, in cui naturalmente ha rappresentato la cultura e la tradizione musicale russa, ha rivelato di essere un fan di Andrij Sevcenko e che, se non fosse riuscito ad essere un musicista, avrebbe fatto il calciatore. Marco Tardelli, il calciatore e Valèry Gergiev il musicista si sono incontrati a Ravello: nel calcio si parla di fraseggio, di tempi, di a-solo, di virtuosismi, quel goal, nella infiammata serata dell’ 11 luglio del 1982, seguendo i dettami dell’estetica musicale contemporanea, secondo cui il temine “musica” indica una famiglia di eventi sonori nella quale sono compresi suoni, rumori e silenzio, la vita stessa dell’uomo, fu musica, con il piede di Marco che impattò il pallone e, provando a invertire i termini dell’equazione, l’interpretazione delle due partiture, è maturata, martedì sera, agilmente atletica, come una vincente discesa a rete.