Sergio Vecchio, “Ritorno ad Itaca” - Le Cronache
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Sergio Vecchio, “Ritorno ad Itaca”

Sergio Vecchio, “Ritorno ad Itaca”

di Olga Chieffi

“…Sempre devi avere in mente Itaca – raggiungerla sia il pensiero costante. Soprattutto, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio metta piede sull’isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada senza aspettarti ricchezze da Itaca. Itaca ti ha dato il bel viaggio, senza di lei mai ti saresti messo in viaggio: che cos’altro ti aspetti? E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.”. Sono, certamente, i versi più famosi di Kostantinos Kavàfis, questi finali di Itaca, la poesia del ritorno, in cui l’autore ci comunica il valore del nostos, che in greco assume un significato particolare. Il mito del nostos appartiene molto profondamente alla cultura greca, della quale, Kavàfis è un esponente moderno, e al quale il segno di Sergio Vecchio si associa idealmente. Questa sera, alle ore 19,30 il Comune di Castellabate intitola alla memoria di “Sergio Vecchio – artista” il Salone d’onore del Castello dell’Abate, completamente rinnovato. Sergio Vecchio, già insignito dal Comune di Castellabate del Giglio d’Oro, ha donato negli anni importanti opere d’arte che verranno esposte in maniera permanente al primo piano del Castello dell’Abate. Si tratta di un omaggio sentito e fortemente voluto tra le iniziative culturali dell’Ente, in uno dei luoghi simbolo del suo amato paese natio. Alla cerimonia, interverranno Luisa Maiuri, Sindaco f.f., Alfonso Andria, già Senatore della Repubblica ed Europarlamentare, Paolo Apolito docente universitario di Antropologia culturale ed Enrico Nicoletta, Responsabile dell’ufficio di promozione turistica e culturale, procedendo, quindi, all’inaugurazione della mostra. Diverse le personali realizzate per il suo paese natìo, come i “Paesaggi della memoria – Castellabate in inchiostro”, e la pubblicazione del volume “Castellabate e le sue Sirene”. Guardando il segno di Sergio Vecchio, possiamo affermare che la sua personale odissea Sergio l’ha vissuta, per tutta la sua vita di artista, attraverso il credo della sua arte, sempre coerente, ragioni estetiche che a me e ai fruitori della sua opera, è sempre sembrata più relativo al presente che al passato. Incanta questa ultima suggestione, relativa al viaggio. L’aspetto più importante del lascito umano ed artistico di Sergio è la solida voglia di vivere che ha animato la sua vita e che traspira dalle sue opere; una voglia inevitabilmente percorsa da angosce, frutto, molto spesso, del desiderio di vincere la volgarità dei soprusi. Sergio Vecchio è fra gli artisti contemporanei che meglio hanno saputo appropriarsi del mito attraverso le immagini, creando un eccezionale trait-d’union tra il mito stesso, il mondo dell’ignoto, del sogno e della magia, della grandezza e dell’orrore, e la realtà cruda e prosaica, spesso misera, altrettanto piena di orrore, ma non di grandezza, della contemporaneità. In essa, è riuscito a svelare, proprio tramite la presenza del mito, il meraviglioso mistero che comunque, in quanto vita, presenza, carnalità e pensiero, la anima. Il mito è immagine, è figura che senza posa si agita nella mente e nell’immaginario dell’uomo, e che s’incarna nelle immagini – nelle figure – create dall’arte. Il suo stile si potrebbe definire, con espressione ossimorica, ma proprio per questo carica di promesse e contraddizioni, realismo visionario: un’arte che certo non cancella i fantasmi del reale, l’eterna ossessione della referenzialità, e dell’illusione ottica, ma li immerge nel magma vibrante e inarginabile dell’immaginario individuale, di una visione che è sguardo rivolto al reale, ma è sempre anche sogno, immaginazione, allucinazione, luce calda e trasfigurante, o fredda e tagliente, colore e materia sontuosi, sensuali, inquietanti. Sergio Vecchio stupisce e disturba, persuade e violenta, chiama in gioco meraviglia, seduzione, provocazione. Nel Dizionario greco del periodo romano e bizantino “nostimos” è un aggettivo derivato da “nostos”. E significa questo: “essenziale, prezioso, perfetto, la parte migliore di qualunque cosa”. Arte come viaggio, vita come moto, segno come slancio: certamente l’aspetto preferibile, da preservare, di noi uomini. Un messaggio anche politico. A riva giungono opere: chi arriva, chi approda non è che un’epopea, un corpo di testo, un colore, una melodia da ascoltare.