Scafati. Il reportage con 9 articoli sui Ridosso, i Muollo, i Loreto e la città nelle loro mani - Le Cronache
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Scafati. Il reportage con 9 articoli sui Ridosso, i Muollo, i Loreto e la città nelle loro mani

Scafati. Il reportage con 9 articoli sui Ridosso, i Muollo, i Loreto e la città nelle loro mani
RIDOSSO LUIGI
Luigi Ridosso del 1986
RIDOSSO GENNARO
Gennaro Ridosso del 1983
MORELLO ALFONSO
Alfonso Morello
LORETO ALFONSO
Alfonso Loreto

1) La guerra con i Muollo e il racket del pizzo

Arrestati Alfonso Loreto, Alfonso Morello, Luigi e Gennaro Ridosso. Pesanti accuse anche per la consumazione di altri gravi delitti in risposta all’omicidio di Salvatore “O’ Piscitiello”

SCAFATI. Omicidi, tentati assassini, estorsioni, contrapposizione tra bande, nuove leve del panorama criminale scafatese, collaboratori di giustizia, usura. C’è di tutto nelle 83 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare eseguita ierti mattina dai carabinieri del reparto territoriale di Nocera Inferiore e della tenenza di Scafati e del nucleo cinofili di Sarno emessa dal Gip del tribunale di Salerno, su richiesta di Direzione distrettuale antimafia. Mel mirino degli inquirenti sono finiti quattro pregiudicati (uno dei quali già detenuto), affiliati al clan camorristico “Ridosso-Loreto” che opera a Scafati, in particolare nel settore delle estorsioni, dell’usura e nel riciclaggio di assegni bancari.. In carcere sono finiti il 29enne Alfonso Loreto (figlio del boss Pasquale, anch’egli indagato); il 43ene Alfonso Morello, già detenuto per altra causa; il 29enne Luigi Ridosso e il 32enne fratello Gennaro.

Il pm Maurizio Cardea ha fatto luce in particolare su cinque estorsioni che hanno fruttato complessivamente 82.000 euro, commessi in Scafati tra il 2008 e il 2010, ai danni di tre commercianti ortofrutticoli e di un imprenditore conserviero loro concittadino, nonché di una società milanese che gestiva i parcheggi comunali a pagamento, la Aipa.

L’operazione rientra in un più vasto contesto investigativo che, valorizzando gli esiti di fruttuose investigazioni degli anni scorsi sulle dinamiche camorristiche dell’agro nocerino-sarnese e scafatesi in particolare (operazioni “Scafo”, “Matrix” e “Mosaico” condotte dal Ros e dalla Sezione Anticrimine di Salerno), ha permesso di ricostruire anche due efferati omicidi di camorra, finora irrisolti, commessi negli anni 2002-2003 nell’ambito dello scontro armato tra i clan Ridosso e Muollo. Si tratta dell’assassinio Salvatore Ridosso, commesso il 16 maggio 2002 a Scafati (per il quale il GIP ha ritenuto sussistere i gravi indizi nei confronti del pregiudicato Valentino Mansi e di cui si ritiene mandante Ferdinando Muollo e coesecutore il defunto Luigi Muollo) e quello di Luigi Muollo del 9 settembre 2003, sempre a Scafati. L’uccisione di Muollo, dagli inquirenti, è ritenuto «la risposta vendicativa della famiglia Ridosso (per il quale il Gip ha condiviso la gravità indiziaria nei confronti del solo Ridosso Romolo, ritenuto dalla D.D.A. il dominus del sodalizio a base familiare, dedito negli anni 2000 a lucrative attività illecite nel settore dei videogiochi e delle estorsioni ed in grado di stringere accordi con clan del napoletano anche per la consumazione di altri gravi delitti, come il tentato omicidio di Di Lauro Generoso e l’omicidio di Carotenuto Andrea)».

2) I PERSONAGGI

L’eredità raccolta dai figli dei boss

SCAFATI. Dalle alleanze con il clan di Acerra agli omicidi, alle violenze di ogni genere per tenere il controllo delle estorsioni e dell’usura in città e nei comuni limitrofi. Il gip Pietro Indinnimeo ha disposto che Alfonso Loreto, Alfonso Morello, Luigi (29enne) e Gennaro Ridosso (32enne) andassero. Tutto parte dai padri, un sistema criminoso, di stampo mafioso che si tramanda di generazione in generazione. C’è Alfonso Loreto, il figlio dell’ex bosso poi pentito, Pasquale Loreto. Suo padre, attualmente considerato uno dei pentiti più affidabili della camorra, al vertice della nuova famiglia insieme a Pasquale Galasso e Carmine Alfieri, era legato alla primula rossa dell’organizzazione, Francesco Matrone alias “Franchino ‘a belva”.  Uscito dal programma di protezione testimoni, Alfonso rientra a Scafati nel 2001 e subito inizia la sua attività al fianco della famiglia Ridosso. Forte del nome di suo padre, Alfonso Loreto aveva l’ex boss della Nuova Famiglia come consigliere e guida. Il padre lo aveva messo sulla strada della famiglia Ridosso e il giovanissimo Alfonso fin da subito ha avuto un ruolo chiave nell’emergente clan Loreto-Ridosso negli anni compresi tra il 2005 ed il 2010. Ancora oggi era un elemento chiave del sodalizio. Si occupava della gestione degli appalti di pulizie presso varie aziende insieme ai suoi soci, gestiva il mercato delle slot e dei video poker non solo a Scafati ma in tutto l’Agro. Come suo padre, era un leader e aveva fatto dell’usura e dell’estorsione il suo pane quotidiano. Il figlio dell’ex boss era stato arrestato nel 2012 con l’accusa di detenzione di arma clandestina e munizionamento ma poi era tornato libero e finito nuovamente nei guai per estorsione: alla fine era in libertà grazie al decreto svuota carceri. Poi c’è Alfonso Morello detto o’ Balanzone, 43enne. Originario di Torre Annunziata, proprio con il torrese Nicola Erriquez (finito in carcere qualche mese fa nell’ambito dell’operazione Chic cafè a cavallo tra Angri e Pagani) aveva aperto un bar nel rione Ferrovia a Scafati. In quello che era stato il quartier generale di Pasquale Loreto. Morello gestiva i traffici di Erriquez ed i suoi sodali con l’area Vesuviana e, sebbene ancora detenuto e sebbene proprio sotto sorveglianza, non aveva disdegnato la sua partecipazione agli affari del clan Loreto-Ridosso. Per il clan scafatese si occupava di erogare i prestiti usurai e di recuperare i crediti illeciti concessi. Violenza e minacce, all’ordine del giorno. Poi ci sono i Ridosso: Gennaro, figlio di Romolo, conosciutissimo a Scafati. Era lui l’intestatario della ditta Europa Service che si occupava di imballaggi ed era in continua caccia di appalti. E’ lui l’esecutore dell’omicidio di Andrea Carotenuto e l’organizzatore di quello di Luigi Muollo. Gennaro, proprio come svelato dallo stesso Pasquale Loreto diversi anni fa, decideva le linee strategiche del clan e gli affari. Lui minacciava ed usava violenza alle vittime delle estorsioni e di usura operate in nome e per conto del clan. Lui uccise Andrea Carotenuto, rivale negli affari dei videopoker a Scafati . Tra le altre cose, curava i rapporti con i casertani del clan De Sena. Insieme a loro nel 2003 trovò e seguì Luigi Muollo fino al suo omicidio del 2003. Non ultimo, in cella, anche Luigi Ridosso: il figlio di Salvatore, ucciso nel 2002 da Luigi Muollo. Cugino di Gennaro, quindi nipote di Romolo Ridosso, Luigi, appena 29enne si occupava di minacce, estorsioni e riscossioni anche violente in giro per Scafati. Lui gestiva una cooperativa di pulizie ed è molto legato a diversi politici scafatesi da amicizia e passioni comuni fino alla sua partecipazione attiva nell’ultima campagna elettorale. Proprio lui agiva in nome del clan Ridosso ed è il mandante, insieme a suo zio, dell’omicidio Muollo. Lui consegnò le armi ai due killer Vincenzo Romanelli e Michele Imparato. Erano il terrore degli esercenti locali, dopo l’arresto, ieri, qualcuno ha tirato un sospiro di sollievo.

 

3) Gli indagati

Ci sono anche l’ex boss Pasquale Loreto e Aurelio De Felice, consulente comunale

SCAFATI. Nell’inchiesta culminata negli arresti di ieri mattina, sono coinvolte altre 19 persone. Indagati, infatti, a vario titolo Massimiliano De Iulio di Castellammare di Stabia, 42enne con l’accusa di estorsione tra il 2009 ed il 2010 a Castellammare. Nel mirino anche Pasquale Di Fiore di Acerra, 33enne, attuale collaboratore di giustizia. Giuseppe D’Iorio 38enne di Acerra e Giuseppe Ricco 51enne “Pinuccio ‘o foggiano” di Foggia, Carmine Di Vuolo 42enne di Castellammare di stabia, Francesco Fienga “Francuccio” 40enne di Scafati, Michele Imparato 36enne di Boscoreale. Figura tra gli indagati anche Pasquale Loreto, l’ex boss, 54enne attualmente detenuto in una località protetta. Ci sono poi Valentino Mansi 43enne di Scafati assassino materiale di Salvatore Ridosso, Veruska e Ferdinando Muollo, padre e figlia, pluripregiudicati di Scafati che volevano ed ebbero Ridsso morto. Indagato anche Giuseppe Morello, fratello di Alfonso 40enne di Torre Annunziata ed infine Luigi Ridosso di Castellammare (classe 1982) e Salvatore Ridosso classe 1987 di Scafati, figlio di Romolo Ridosso, anche lui indagato e residente però a Scafati. Dulcis in fundo, immischiati secondo l’accusa nell’affare del clan anche Antonio Palma 40enne di Boscoreale e Francesco Sorrentino, alias Ciccio ‘o campagnuolo, 63enne di Scafati. Tra gli indagati figura anche l’ingegnere AurelioVoccia De Felice: consulente comunale nel 2009 e famoso tecnico scafatese 52enne: per lui però non è citato il capo d’accusa né eventuale condotta criminosa.

 

4) Quel patto di sangue tra i Loreto e i Ridosso.  Gli affari del sodalizio camorristico tra Scafati e l’Agro nocerino.Così imponevano ai gestori i videopoker. Accordi anche con il clan De Sena di Acerra

LE ACCUSE

SCAFATI. Un clan temibile che riusciva a superare anche le tempeste scatenate dai collaboratori di giustizia e che non temeva pure di riaccogliere in seno i “pentiti” e che aveva stabilito anche accordi con il clan De Sena di Acerra. Per l’associazione per delinquere di stampo camorristico denominata “Ridosso-Loreto” sono, infatti, indagati Alfonso e il padre Pasquale Loreto, nota primula rossa e capoclan negli anni Ottanta e Novanta; Alfonso Morello, Romolo Ridosso, Luigi Ridosso del 1982, Luigi Ridosso del 1986 , Salvatore Ridosso del 1987 e Gennaro Ridosso del 1983 e Antonio Romano. Vincoli familiari e di amicizia alla base del gruppo che imperversa a Scafati da oltre 30 anni.

Del sodalizio faceva parte anche Salvatore Ridosso, ucciso nel 2002 e i familiari, anche nel suo nome, proseguirono l’attività criminosa. Il clan era dedito alle solite attività dei parassiti camorristi, le estorsioni e l’usura, prevalentemente a Scafati  ma anche nel resto dell’Agro nocerino ma da ultimo mirava a gestire pure gli appalti di pulizia nelle varie aziende, in specie del settore conserviero, attraverso la ditta “Delta Service di Loreto Alfonso” e anche “Europa Service di Gennaro Ridosso” e nell’installare apparecchi videogiochi. Il Gruppo avrebbe programmato ed eseguito diversi omicidi e tentati assassini a danni dei gruppi rivali sul territorio, come i Muollo.

I fratelli Romolo e Salvatore Ridosso (deceduto) attraverso il controllo dell’impresa “Video game Stabia sas di Antonio Sorrentino” imponevano l’istallazione dei videogiochi presso vari esercizi, ed entrarono in contrasto con Luigi Muollo e Andrea Carotenuto, che facevano parte di un clan opposto e che operava nello stesso settore. Da qui la lunga scia di sangue che tra il 2002 e il 2003 ha invaso Scafati, gettando nel terrore tanti residenti ed operatori economici.

 

5) La guerra tra i Muollo e i Ridosso. L’assassinio di Carotenuto

GLI OMICIDI

SCAFATI. Operavano nello stesso territorio e nello stesso campo: due clan non potevano sopravvivere e uno dei due doveva soccombere. La guerra tra i Ridosso e i Muollo e i Carotenuto segnerà due anni di inferno per la città.

Il 16 maggio 2002 fu ammazzato Salvatore Ridosso e iniziò la guerra. Salvatore Ridosso e Ferdinando Muollo erano in origine soci in attività lecite e illecite.  Poi la voglia di supremazia ruppe gli equilibri. Nove colpi calibro nove furono sparati da un killer in via Pasquale Vitiello a Scafati e morì Salvatore Ridosso che aveva anche tentato la fuga. Mandante dell’assassinio fu Ferdinando Muollo e ad ucciderlo, secondo il gip furono Luigi Muollo e Valentino Mansi (guardaspalle di quest’ultimo).

A questo punto i ridosso partono al contrattacco. Il fratello di Salvatore, Romolo Ridosso attraverso la mediazione di Antonio Romano, stipulò un accordo con Ciro De Falco e Salvatore Nolano, entrambi deceduti, esponenti del clan De Sena di Acerra, sia per gestire in comune le attività criminose a Scafati sia per procedere agli omicidi dei “nemici”.

Romolo Ridosso fece eseguire il 22 ottobre 2002, alle 19,50,  in via Martiri D’Ungheria a Scafati, grazie all’appoggio del figlio Gennaro e del nipote Luigi del 1986, l’assassinio di Andrea Carotenuto, ucciso con un colpo solo sotto un occhio esploso da Luigi Ridosso.

Il due febbraio 2003, grazie all’intermediazione di Antonio Romano e avvalendosi dell’appoggio del gruppo di fuoco composto da  Giuseppe D’Iorio (Peppe ‘o killer”) e Giuseppe Ricco (Pinuccio ‘o foggiano), del clan De Sena di Acerra, fu tentato l’assassinio di Generoso Di Lauro.

Il due settembre 2003, sempre con l’appoggio dei De Sena di Acerra, facente capo a Mario Di Fiore, (‘o Cafone), Ciro De Falco (‘o ciomm) di cui erano partecipi anche Pasquale Di Fiore, Giuseppe D’’Iorio   e Salvatore Nolano, poi deceduto,  e Vincenzo Romanelli (‘o boss) poi deceduto, ammazzarono Luigi Muollo, che aveva fatto uccidere Salvatore Ridosso.

Luigi Ridosso 1986 avrebbe minacciato anche le vittime di usura ed estorsioni oltre ad essere stato autore materiale dell’omicidio di Andrea Carotenuto e mandante, assieme allo zio  Romolo Ridosso, dell’omicidio di Luigi Muollo (consegnò le armi agli esecutori materiali Vincenzo Romanelli e Michele Imperato).

Salvatore Ridosso del 1987 avrebbe minacciato le vittime di usura ed estorsione come avrebbe fatto anche Gennaro Ridosso del 1983 oltre ad essere stato presunto autore materiale dell’omicidio di Andrea Carotenuto e localizzatore di Luigi Muollo poi ucciso successivamente.

Luigi Ridosso del 1982 avrebbe minacciato le vittime di usura ed estorsione e avrebbe localizzato Luigi Muollo.

Antonio Romano è coinvolto nel tentato omicidio di Generoso Di Lauro e nell’assassinio di Luigi Muollo e sarebbe stato il tramite tra i Ridosso e il clan De Sena.

 

6) Estorsioni e Usura, gli affari del clan. Il pizzo pagato con assegni. Tangenti chiesti a commercianti e anche imprenditori del settore conserviero, attraverso gli appalti per le pulizie. Acquistavano abiti griffati senza pagarli in una nota boutique scafatese

Scafati. Estorsioni pagati perfino in assegni o attraverso l’affidamento di appalti di pulizie, per non contare l’usura. E’ ricca la storia criminale del clan Ridosso Loreto fino al 2010, nonostante Pasquale Loreto fosse collaboratore di giustizia.  Oltre alla vicenda dei parcheggi, a Scafati sono numerosi gli episodi criminali contestati. Romolo Ridosso, Antonio Palma e Michele Imperato nel dicembre 2003 avrebbero minacciato il gestore della discoteca “Sol levante” di  Scafati a pagare il pizzo di mille euro come già avveniva quando era in vita Salvatore Ridosso, in occasione delle festività annuali. Francesco Sorrentino e Alfonso Morello

Avrebbero estorto a un commerciante ortofrutticolo 20mila euro per i carcerati e le loro famiglie attraverso cinque assegni e 500 euro in contanti che non risultarono scoperti e la vittima a pagarli in contanti varie rate.

Alfonso e il padre Pasquale Loreto avrebbero costretto imprenditore conserviero a cambiare un assegno di 3.000 euro di cui non c’era la copertura bancaria. Sempre i Loreto padre e figlio e Luigi Ridosso del 1986 avrebbero imposto allo stesso imprenditore conserviero la stipula di contratti per la pulizia post produzione della azienda con la ditta di pulizia “Delta service” del figlio del bosso Loreto.

A Pasquale e Alfonso Loreto, Alfonso Morello , Gennaro e Salvatore Ridosso piaceva vestire bene e indossare capi firmati (Canali, Corneliani, Ucinelle, Armont & Blaine, Santoni, Barba e Borrelli): li comprarono in due o tre anni alla famosa “Boutique Principe” di Scafati e poi costrinsero il commerciante a non richiedere il pagamento dei 20.000 euro spesi in campi di abbigliamento.

Alfonso Loreto, Luigi Ridosso 1982, Salvatore Ridosso, Massimo De Iulio,  ottennero 6.800 euro un risarcimento danni su una mancata transazione immobiliare.

Poi c’era la lucrosa usura. I fratelli Alfonso e Giuseppe Morello avrebbero chiesto 100mila euro di interesse usurai ad una coppia di scafatesi, vittima poi di estorsione.

Altre usure sono contestate a Luigi Ridosso del 1986, Gennaro Ridosso ed Alfonso Loreto.

Pasquale e Alfonso Loreto e Gennaro Ridosso avrebbero poi chiesto il pizzo di 25.000 euro per le festività natalizie ad un imprenditore conserviero scafatese.

 

7) Quando Voccia pagò la tangente

Era il garante dell’Aipa: consegnò 30mila euro a Luigi Ridosso e Alfonso Loreto

La società aveva vinto l’appalto di sei anni e per lavorare in pace sborsò i soldi ai due camorristi

SCAFATI. Per il Pd era il regista occulto di ogni affare scafatese, per l’opposizione di destra era la chiave di volta degli appalti Geset e di quello Aipa: a svelare un tassello in più sul suo ruolo nella società milanese che gestiva i parcheggi a pagamento a Scafati, è stata proprio l’inchiesta di ieri ai danni del clan Ridosso-Loreto. Nessuno fino a ieri sapeva che Voccia era il garante della società Aipa. Era il periodo a cavallo tra il 2009 ed il 2010 quando su minaccia di Luigi Ridosso e Alfonso Loreto, Aurelio Voccia consegnò, nel laboratorio di analisi di C.M., in una busta chiusa, una tangente di 30mila euro. Era il prezzo per lavorare “in pace” sul territorio scafatese dopo i disordini dell’ultimo periodo. Nel 2009 infatti l’Aipa aveva vinto l’appalto di sei anni al Comune di Scafati ma, questo, non era bastato ai Ridosso-Loreto per lasciare la società di Milano in tranquillità. Appena gli ausiliari presero servizio, subito arrivò il conto: chiesero al garante della società Aipa di Milano, l’ingegnere Aurelio Voccia De Felice, di pagare. Si incontrarono in segreto nel laboratorio di un amico in comune e il pagamento avvenne. Una scelta, quella di Voccia, che poteva costargli l’accusa di favoreggiamento di fatto non trascritta dal Gip ma probabilmente contestata. Forse non aveva altre opzioni e la denuncia, non arrivò mai: nemmeno quando si scatenò la rissa tra alcuni impiegati Aipa e gli esponenti del clan Ridosso-Loreto, in via Sant’Antonio Abate in quello stesso periodo, si decise per la via della giustizia. Il risultato di quelle minacce fu pagare il pizzo al clan. In particolare a Luigi Ridosso ed Alfonso Loreto.

Era il 2009. Proprio lo stesso anno in cui Aurelio Voccia incassava un incarico diretto da parte del sindaco Pasquale Aliberti, suo amico, al Comune di Scafati come responsabile dei rapporti col “partenariato” per 18mila euro circa. Soldi pubblici per lui anche nell’incarico diretto che lo stesso Aliberti gli affidò poco più in là come amministratore della Scafati Sviluppo, società che ha gestito la gara da 18milioni di euro e po’ l’appalto per la reindustrializzazione dell’ex Copmes. Sempre Voccia, secondo il Pd e le denunce dell’allora presidente della commissione trasparenza Marco Cucurachi, poteva essere il regista occulto di un altro super appalto pubblico: quello per la gestione delle tasse cittadine. L’appalto da 10milioni di euro con la Geset, tuttora in corso. Voccia, la cui famiglia vanta ex sindaci e noti esponenti della società civile, ora compare come indagati tra i 23 legati in un modo o nell’altro al clan Ridosso-Loreto: anche in questo caso, per l’assenza dell’accusa trascritta, il suo ruolo, è avvolto nel mistero. Come spesso, quando si parla di lui, accade.

(t.s.)

 

8) Il sindaco Aliberti: «Bisogna denunciare le estorsioni subite. Un plauso forte alle Forze dell’Ordine”

SCAFATI. «Bisogna denunciare le estorsioni subite». L’invito è del sindaco Pasquale Aliberti. «Esprimo un forte plauso alle forze dell’ordine, impegnate da tempo nell’operazione che ha portato oggi ad un risultato encomiabile, conseguenza di un controllo capillare del territorio, in piena sinergia con le istituzioni. Un messaggio positivo in questo momento di forte recrudescenza della criminalità organizzata sul territorio, in tutte le sue forme. L’invito, che da sempre rivolgiamo agli imprenditori e che, anche in questa occasione, ci sentiamo di ribadire, è quello di denunciare le estorsioni subite. Ci vuole coraggio, ci vuole forza, ma con la presenza sul territorio delle forze dell’ordine, ribellarsi alla camorra, può essere possibile. Liberiamo il territorio e collaboriamo tutti affinchè si possa vivere nella legalità e in un paese civile».

 

9) Il retroscena.

Aipa e Acse: il contenzioso

Tra l’Aipa e l’Acse il rapporto lavorativo si è interrotto, per volontà del consiglio comunale, nel novembre 2014. La pubblica assise ha stabilito che la gestione dei parcheggi in città deve essere gestita in house dalla stessa Acse. Tra le due società era nato un contenzioso a seguito delle richieste dell’Aipa di rivedere i canoni dovuti (pari a 100 mila euro annui) tenendo presente le numerose perdite di stalli a pagamento. Strisce blu venute meno a seguito dei tanti cantieri aperti in città, tra cui via Zara, piazzale ex Del Gaizo (area Polo Scolastico) area Mercato. Dopo una serie di trattative, si arrivò ad una transazione di rateizzazione e revisione del credito vantato dall’Acse. L’atto transattivo revisionava i canoni del 2013 e 2014 in euro 71.323,52 che l’Aipa avrebbe dovuto versare in 4 rate con scadenza mensile a partire dal 20 gennaio 2015. Nessuna scadenza è stata però onorata. Da qui la decisione dello Cda guidato dal presidente Eduardo D’Angolo e dal direttore generale Salvatore De Vivo di dare mandato all’avvocato di fiducia per adire alle vie legali. Costo preventivato, 2 mila euro. Oggi la gestione della sosta a pagamento è affidata, per sei mesi, alla Publiparking srl, dopo che alla scadenza di novembre 2014 il consiglio comunale deliberò di non rinnovare la convenzione con il vecchio gestore ma di affidare la gestione in house all’Acse. La partecipata però ancora non aveva provveduto ad organizzarsi, da qui la procedura negoziata con affidamento per sei mesi, al costo di 41 mila euro, alla Publiparking. Convenzione questa che scadrà il prossimo novembre e ad oggi non è stata ancora avviata la procedura per la gara d’appalto. Il rischio è di ritrovarsi senza gestione della sosta e ripiombare, come accaduto nei primi mesi dell’anno, nella sosta selvaggia, finendo in mano agli abusivi e comportando un danno economico per le casse comunali, oltre a ritrovarsi auto parcheggiate in ogni dove liberamente. L’alternativa potrebbe essere una proroga alla Pubbliparking, ma la società amministrata dallo scafatese Luigi Monti ha già fatto sapere di non essere disposta, a queste condizioni, di accettare una proroga, a meno che questa non sia squisitamente tecnica, di preludio al bando. L’attuale gestione infatti si richiama ancora alla convenzione stipulata con l’Aipa, che la Publiparking non ritiene idonea. Sono richieste nuove regole, nuovi parcometri, nuove procedure, insomma, una totale revisione del regolamento d’appalto. Nulla però di tutto questo è stato ancora fatto e novembre è vicino.

Adriano Falanga