SALERNO. In serata la bufera si placa: Sannino alza il telefono e chiama Fabiani. Sa di averla fatta grossa con quelle dichiarazioni lunedì sera. Ma era il suo pensiero. Dieci giorni fa a tavola, in un ristorante salernitano aveva detto le stesse cose. Non si era accorto che vi era anche un giornalista. Quest volta ad incastrarlo una telecamera. Non c’è spazio alle interpretazioni. Direttore lascio, non vado avanti. Un gesto che fa tirare un sospiro di sollievo anche alla società. Il momento è delicato perchè la conduzione tecnica ha portato la Salernitana alle soglie della retrocessione. Ben altri erano i programmi iniziali. Fabiani non batte ciglio. Accetta le dimissioni ben sapendo che il tecnico è indifendibile per quelle parole. Serve un sostituto, la scelta logica va su Bollini, che salvo cataclismi stamane sarà a Salerno. Lotito benedice la scelta, il tecnico anche lui è pelato, ha la sua grande chance. E’ stato una promessa, un po’ come Inzaghi. Ora ha in mano la carta giusta. Diciamoci la verità, quando la Lazio decise di richiamare Simone Inzaghi a seguito del gran rifiuto del Loco Bielsa e la Salernitana dovette ripiegare su Beppe Sannino, la stragrande maggioranza di tifosi ed addetti ai lavori aveva tirato un sospiro di sollievo. Tutti, prima del via della stagione, erano concordi che il profilo del tecnico nativo di Ottaviano fosse quello giusto: 4-4-2, squadra compatta e grande cultura del lavoro. Aspettative, speranze, auspici che presto sarebbero stati sconfessati dai fatti. 18 punti in sedici giornate sono pochi e non possono lasciar sereni una tifoseria reduce dalla sofferenza indicibile dello scorso campionato. Gli spettri della retrocessione, guardando il calendario ed in particolare le prossime sette partite (Bari, Frosinone, Avellino e Verona fuori, Carpi, Perugia e Spezia all’Arechi), tornano ad aleggiare sulla Salernitana. I punti a sfavore del tecnico erano diventati tanti, troppi. Innanzitutto le sue scelte tecniche e tattiche non convincevano: perché puntare su calciatori acciaccati ,come Schiavi o Della Rocca, o spremuti, come Vitale o Improta, e lasciar marcire in panchina o addirittura in tribuna i vari Caccavallo, Laverone, Zito, Mantovani e così via? Perché continuare a sacrificare i soliti noti (vedi Donnarumma) per salvaguardare chi non sta rendendo come dovrebbe (vedi Rosina)? Scelte difficili da decriptare che incidono, e non poco, anche sulla gestione del gruppo. Gli sfoghi, nemmeno tanto celati, dei vari Donnarumma, Zito e, ultimo in ordine di tempo, di Laverone, sono segnali di un gruppo che stava sfaldandosi. Un rapporto conflittuale coi calciatori, ma anche con stampa e tifoseria. Il tecnico non riesce ad assorbire le critiche mosse dall’ambiente e di conseguenza a sopportare le pressioni di una piazza esigente proprio perché, a differenza di quanto detto dopo il triplice fischio di lunedì sera, a Salerno di buon calcio se n’è masticato, e tanto.
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La capra Sannino
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