Lavoratori senza stipendio da 17 mesi. Ai più fortunati, si fa per dire, mancano i soldi in busta da 10 e 4 mesi. E’ quanto sta accadendo ormai da tempo nelle strutture sanitarie private accreditate della provincia di Salerno. E’ il caso, ad esempio, di Villa Caruso a Roccapiemonte, del gruppo Silba, della Cedisa e de La quiete di Salerno. E l’elenco è ancora lungo, con situazioni ognuna diversa dall’altra. A lanciare il grido d’allarme, la funzione pubblica della Cgil di Salerno e in una conferenza stampa il segretario Angelo De Angelis e Angelo Di Giacomo hanno evidenziato le diverse difficoltà per ogni singola struttura sanitaria. «La nostra proposta è chiara e precisa – dice Angelo De Angelis – noi chiediamo al nuovo governatore della Campania, innanzitutto più trasparenza per quanto concerne il trasferimento dei fondi considerando che le strutture accreditate della provincia di Salerno svolgono il 90% del servizio tramite gli accreditamenti. Chiediamo che uno dei primi atti del nuovo presidente della Regione sia che i soldi che vengono trasferiti dall’ente alle Asl vengano utilizzati in primis per pagare i lavoratori. Inoltre – conclude De Angelis – se l’imprenditore economicamente non riesce più ad andare avanti deve fare un passo indietro e mettere sul mercato la propria attività, dando così la possibilità ad altri che vogliono subentrargli di continuare nella gestione garantendo i posti di lavoro esistenti». Diciassette, ddodici, dieci. I numeri degli emolumenti non percepiti dal personale delle strutture private accreditate sono impressionanti, come sottolinea il responsabile Cgil sanità privata Angelo Di Giacomo. «La situazione non può andare avanti così, spiega – Come può fare un lavoratore che ha una famiglia ad andare avanti? Alla Quiete assistiamo da anni alle proteste dei circa 100 lavoratori, ai tentatvi falliti di conciliazione, ai sit in davanti alla sede dell’Asl di Salerno. Quante volte abbiamo documentato di dipendenti della casa di cura, esasperati, che si sono incatenati per dare un segnale forte e far puntare i riflettori sulla loro difficile situazione. Siamo arrivati al punto che ci sono persone disperate e tra essi molti sono monoreddito e sono stati costretti a rivolgersi a soggetti poco raccomandabili». Il riferimento, nemmeno troppo velato, di Di Giacomo è probabilmente a chi è dovuto ricorrere “all’aiuto” degli strozzini per poter continuare a mettere il piatto a tavola. «Non me lo auguro – conclude Di Giacomo – ma può succedere che non ne escano più». Alessia Bielli
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