Salvatore Giannella tra Scarlatti e Schumann - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Salvatore Giannella tra Scarlatti e Schumann

Salvatore Giannella tra Scarlatti e Schumann

Questa sera, alle ore 20,15, il pianista si esibirà nella Sala San Tommaso del Duomo di Salerno, ospite della rassegna I concerti di Primavera

Di OLGA CHIEFFI

Questa sera, nella Sala San Tommaso, alle ore 20,15 il pianista Salvatore Giannella sarà protagonista della quarta serata della rassegna “I concerti di Primavera”, promossi dall’Associazione Culturale Arechi. La serata principierà con tre sonate di Domenico Scarlatti, la L104, la L108 e la L449. La sonata per clavicembalo, progenitrice di quella al piano, riveste i panni di un nuovo veicolo espressivo che ha come prerogativa quello di fissare lo stato della tecnica pianistica affiancandola all’espressività del musicista e alle sue particolarità: nell’àmbito delle sue sonate, oltre a fissare nuove modalità di utilizzo della tastiera (tra le quali sarà introdotta come una vera innovazione l’uso incrociato delle mani) fissa anche uno standard universale. In questa impresa l’autore metterà in evidenza tutte le sue influenze, dai lampi barocchi alle sonorità spagnole derivate anche dalle dominazioni arabe, ma soprattutto con lui nasce una nuova estetica musicale che gradatamente rompe con l’elevazione spirituale e con il contrappunto barocco per affermare il nuovo ordine delle “regole” musicali. In maniera silenziosa, ma temporalmente sempre più evidente, la sonata accompagnerà il piano nel suo processo di distinzione strumentale che lo vedrà diventare un protagonista che riuscirà gradatamente a superare in termini di diffusione il violino, lo strumento musicale che aveva guidato i musicisti per secoli. Seguirà, la “Sonata n. 8 op. 13 in do minore” di Ludwig van Beethoven che si trascina addosso la definizione di «Patetica»: un appellativo che peraltro anche l’autore approvò, per quanto l’idea di chiamarla così non fosse sua, ma dell’editore viennese Eder. L’ascolto tuttavia non rivela accenti di piagnucoloso languore: difatti l’aggettivo deve essere riferito a quella “forza tragica di rappresentazione” sulla quale si era pronunciato Schiller a proposito della sua poetica. Più precisamente da questa sonata emergono gli elementi conflittuali che a loro volta trovano origine in Kant, il principio di opposizione e il principio implorante: accenti di energica carica emotiva che si stemperano in momenti di pacificante lirismo. Intenso l’ Adagio che rivela una linea adamantina che non piega a nessuna tendenza contingente e che s’erge pura nell’eterna giovinezza dello spirito. Riguardo il Rondò finale, più di un commentatore lo giudica inferiore al resto della sonata, se non addirittura slegato (Giorgio Pestelli scrive che non sfigurerebbe suonato su un clavicembalo): anzi qualcuno ipotizza che sia l’adattamento per il solo pianoforte di una pagina originariamente pensata per duo o trio. Finale di serata dedicata al Robert Schumann del Carnaval, Scenes mignonnes sur quatre notes op.9, composto tra il 1834 e il 1837. Bisogna spiegare innanzitutto che cosa significano le “quattro note”. Le note musicali, nei paesi tedeschi, vengono denominate con lettere dell’alfabeto dalla A alla H. Tutti sanno che un nome può essere tradotto in suoni. Il nome di Ernestine von Fricken non si prestava a formare un tema, ma il nome della sua città Asch sì, ma con un piccolo trucco: il Mi in tedesco si legge ES. Asch diventa dunque la, mi bemolle, do, si. Proseguendo nel gioco si può leggere la parola Asch suddividendola in As e Ch, così si arriva a La bemolle, do, si. Inoltre, se si legge musicalmente il nome Schumann, abbiamo di nuovo le lettere del nome Asch nella formulazione di Scha, un modo ingegnoso di intrecciare qualcosa di Ernestine e del suo innamorato Robert. Ancora una festa mascherata diventa lo sfondo indispensabile per comunicare i mutevoli aspetti di una vita interiore tormentata e al contempo vivace. Il legame con i Papillons risulta evidente. Un affresco policromo, come nessun’altra composizione di Schumann, nel quale differenti stati d’animo si compensano e si annullano abilmente per poi immergersi di nuovo nella gaia ed ironica mascherata. Il tutto si chiude infine sulla “rumorosa ed enfatica” marcia della Lega di Davide. La vita stessa esprime la sua complessa varietà attraverso l’espediente delle maschere; non quindi un atteggiamento univoco, non una visione compatta, bensì un’opera che vuol riflettere sull’insopprimibile molteplicità del mondo sotto una luce inequivocabilmente radiosa.