Quelli di via Diaz: prima puntata - Le Cronache
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Quelli di via Diaz: prima puntata

Quelli di via Diaz: prima puntata

Di Primo Carbone

Era appena iniziato l’anno scolastico, 1969/70. Un grande fermento di idealità pervadeva l’intero mondo giovanile. In particolar modo le scuole “Superiori”e l’ Università di Salerno erano “fucine” di nuove ed inquietanti “idee” che venivano d’oltralpe: Parigi , La Sorbona. Era arrivato anche a Salerno il “vento del 68”. Molti istituti erano occupati dagli studenti dove si infiammavano discussioni che spessissimo si trasformavano in aspri scontri fisici. I Giovani non sempre erano pronti ad un confronto di idee, e spessissimo per affermare le proprie tesi, le proprie argomentazioni si arrivava alla scazzottatura, alle sedie che “volavano, alle “mazzate”. Ricordo un gruppo di studenti che si definivano “comunisti” avevano organizzato l’occupazione nel “mio” istituto. Era la prima volta che ragionavo del mio, del nostro, futuro con altri studenti. Ero fra i più giovani (sedici anni) e le proposte di lotta mi entusiasmarono. Si parlava di lavoro, corruzione, di padroni sfruttatori. Il mio papà era un lavoratore con cinque figli da mantenere e far studiare. Non volevo che il mio futuro potesse essere lo stesso: sacrifici, rinunce, privazioni. Si organizzò un corteo e da via Gelso (sede dell’ITIS “G. Galilei”) raggiungemmo p.zza Malta dove all’interno del Magistero si stava tenendo un’ assemblea aperta a tutti movimenti “Rivoluzionari” degli studenti di Salerno. Dovevamo stare attenti e pronti perché temevamo che i “FASCISTI” potevano attaccarci. Arrivammo nell’Aula Magna. Un caos incredibile. C’erano quelli di “POTERE OPERAIO” che con la violenza, contro altri “comunisti,” avevano preso il “centro della scena”. Mi staccai dal gruppo e li ascoltai. Parlavano con un megafono. Quello che ricordo e mi turbò profondamente fu una loro proposta: “.vogliamo uno stipendio a diciotto anni e lavorare a cinquanta” ( A me sembra che, oggi, qualcuno questa stessa proposta la vorrebbe riproporre) inoltre ascoltai di “simboli” e “tinte” da dare alle loro lotte. Cambiare il “ROSSO” con il “VIOLA”, simbolo e parafrasi del VIOLENTARE….TUTTA LA SOCIETà. Distruggere Dio, la Famiglia, la Proprietà…ecc. Questi so scemi. Sapevo che il benessere, quello duraturo, era frutto solo del lavoro. Mia madre con grandi sacrifici riusciva ad evitare ogni spreco, così eravamo riusciti ad avere una casa di proprietà e la sera recitava il S. Rosario. Le loro proposte non mi interessavano. Li lasciai e turbato tornai a casa. Passò qualche settimana e passeggiavo sul Corso, sotto il portico e guardavo le vetrine di “Brancaccio” con un due amici che avevo conosciuto solo da qualche giorno. Si parlava di “ragazze”e all’improvviso arrivò un gruppo di studenti, con bastoni, che aggredirono Attilio “o luongo” (era alto) e l’altro. Quello che li guidava, il più grande, era lo stesso che nel “mio” istituto aveva organizzato l’occupazione ed il corteo. Rivolto ai “suoi” disse indicandomi: “questo no, non lo toccate”. Era la prima volta che assistevo ad una aggressione. La paura fu grande. Mi appiattì alla vetrina e assistetti al pestaggio. La paura mi paralizzò. Dopo averli bastonati, li lasciarono sanguinanti e fuggirono. Nessuno intervenne. Attilio e l’altro si alzarono e dissero: “…andiamo in sede, andiamo in via Diaz”. Rimasi solo, a malapena avevo capito che quei due amici, dovevano essere dei “Fascisti”. Tornai a casa e non feci parola con i miei. Tuttavia mi sentivo umiliato, mi sentivo un vigliacco. Avevo visto picchiare due mie amici e non ero intervenuto ad aiutali. Non mi interessava che fossero dei “Fascisti”. Erano amici miei e dovevo intervenire per difenderli. Già allora ero abbastanza “bravo”. Era da due anni che frequentavo la Pugilistica Salernitana ed avevo un bel “destro” che non faceva invidiare nulla al “gancio sinistro”. Questa esperienza la sommai a quanto avevo visto e sentito all’interno del “Magistero” e dedussi che i Comunisti, tutti i Comunisti, erano solo dei mascalzoni vigliacchi. Ricordai che Attilio aveva detto di volersi recare in via Diaz e capì che doveva esserci la”sede” dove i “Fascisti” si ritrovavano. Mi recai in quella strada e notai per la prima volta, vicino al balcone di un appartamento al primo piano, il simbolo del M.S.I.: La FIAMMA Tricolore. C’ero passato altre volte, ma non l’avevo mai notata. Mi fermai qualche minuto sotto il portone, ero titubante, un po’ di paura mi pervadeva. Salire o non salire? C’era un gran fermento, tanti ragazzi e ragazze che entravano ed uscivano da quel portone. Alcuni avevano dei manifesti arrotolati, altri avevano dei volantini. Vedevo un grande entusiasmo e tanta eccitazione. Mi decisi ed entrai. Salì le due rampe di scale e mi trovai di fronte ad un portone in legno massiccio. Era la porta della sede del MSI. Oltrepassai l’ingresso, nessuno badava a me, c’era un disimpegno, un corridoi che collegava le varie camere. Alcune erano chiuse l’ultima, quella sulla destra con il balcone che affacciava su via Diaz, era particolarmente gremita di ragazzi. Notai un esemplare di aquila imperiale imbalsamata che faceva bella mostra di se, posta in alto , in un angolo. Un gran vociare, assordante, discutevano ma non capivo di cosa parlavano. Cercavo di guardarmi intorno e capire dove mi trovavo, ad un tratto arrivò un giovane, tarchiato, bassino lo chiamavano “pezzotto”, quasi in lacrime, gioioso gridò:.. “hanno detto che alla Sorbona, a Parigi, i camerati francesi hanno esposto una grande immagine del Duce”. Ci fu un gran clamore, vidi i volti di quei ragazzi gioire, si levarono un nugolo di braccia tese, “il Saluto Romano” e tutti iniziarono a cantare un inno Fascista. Si avvicinò uno di quei ragazzi, era piccolo di statura con i capelli ricci e occhialini rotondi,Mimmo, mi aveva notato e chiese il mio nome, nello stesso momento vidi arrivare Attilio, disse che ero suo amico e non doveva preoccuparsi. Lo salutai con affetto e gli dissi che se fosse successo di nuovo un fatto come quello subito, non lo avrei lasciato solo. Lui mi tranquillizzò e disse di non preoccuparmi: “sono cose che capitano”. Ritornai in via Diaz nei giorni successivi capì che c’era una gerarchia nel guidare quei giovani. Mimmo, Enzo, Sergio, Sergio, Massimo ed altri. Erano loro ad organizzare i giovani e le attività politiche interne ed esterne. Una sera si dovette organizzare un volantinaggio sul C.so V. Emanuele. Mimmo chiamò un gruppo di ragazzi e gli affidò i volantini appena “ciclostilati”, freschi d’inchiostro. Era in corso in qualche locale poco lontano , nei “Mercanti”, una riunione di operai comunisti. Si doveva affermare una nostra presenza politica. Chiamò pure me e mi affidò ad un ragazzo più esperto raccomandandoci di stare attenti, perché potevamo essere aggrediti. Iniziammo il volantinaggio, eravamo arrivati davanti al cinema Capitol, ed ecco l’aggressione. Una squadra di operai “comunisti”, più che maturi, guidati da Alfonso ci aggredirono. Sembrava avessero buon “gioco”. Aveva strappato i volantini dalle mani di Saverio, mentre altri aggredivano i giovani studenti di Destra. Alfonso, spavaldo, si avvicinò, con fare altrettanto minaccioso a me; schivai il suo pugno e risposi con un “destro”. Lo presi in pieno volto: lo stesi. Quando i suoi amici lo videro a terra ci fu un fuggi fuggi generale. Lasciarono il campo. Poco lontano c’era Mimmo e ci disse che dovevamo allontanarci poiché poteva arrivare la polizia e ci avrebbero denunciati. Quello fu il mio “battesimo del fuoco”. Avevo saputo che nelle settimane precedenti cerano stati altri scontri, violentissimi, con i “rossi” e non sempre era andata bene. Loro scendevano in campo con gente molto più matura contro , il più delle volte, giovani studenti. Il mondo politico era in fermento. Il “cazzotto” dato quella sera e a quel “compagno” mi aveva posto al centro dell’attenzione e ben presto mi vollero parte integrante del gruppo di giovani “veterani” di quel mondo. Conobbi Oreste, Giovanni, Carlo, Pippo, Giovanni “dollaro”, Ciro e il fratello Giovanni, Angelo o “scienziato”, Antonella, Antonella, Anna, tre splendide attiviste, Franco e il fratello Pasqualino, Peppe o “professore”, Angelo e Enzo, Pierluigi, Fonso a “catena, o Padovano, Enzo ed il fratello Franco, Giggione, Livio, Attilio e Matteo, Gerardo e il fratello Errico, Fiore , Mimì o postino, Franco C. e cento altri. Sarebbe troppo lungo scrivere di ogni uno di questi ragazzi, del loro coraggio e incoscienza, le loro passioni. Insieme eravamo invincibili, andavamo a fare i volantinaggi in piazza e davanti alle scuole, mai i rossi avevano il coraggio di disturbarci. Eravamo “padroni” della piazza. Tuttavia si era stretto un rapporto di amicizia che andava ben oltre l’azione politica. L’estate a mare ai bagni “Savoia. Avevo legato in maniera particolare con alcuni giovani camerati. Giovanni, Carlo Falvella e Oreste. Con loro passammo un’ estate indimenticabile. Divertimenti, sberleffi, discussioni politiche che non finivano mai, prove di forza. A coppia sulle barchette affittate sul lido ci sfidavamo. Oreste e Giovanni, mentre io stavo con Carlo. Ricordo che Oreste e Giovanni, un giorno, ebbero la meglio su di noi. Eravamo sulle “scappavia” a largo. La nostra quasi affondava, eravamo in acqua e io recuperai andando verso Oreste e Giovanni, mi girai e vidi Carlo che nuotava in tutt’altra direzione. Era senza occhiali e non vedeva dove eravamo lo chiamammo e lo “sfriculiammo”: “mettiti gli occhiali se non vuoi arrivare in Sardegna”. Quell’estate fu l’ultima per Carlo. Durante la stagione invernale, si andava a mangiare la pizza sotto i ponti del “diavolo”, dal “gobbetto”. Tutti insieme cantavamo le “nostre” canzoni. “Avanti Ragazzi di Buda, Avanti Ragazzi di Pest”; una canzone che esaltava gli studenti, gli operai e i braccianti Ungheresi che nel 1956 avevano avuto il coraggio di ribellarsi all’ Orso Sovietico e le canzoni di Leo Valeriano, il nostro cantautore militante. Le sue canzoni parlavano di quell’Europa che era oppressa dal giogo Sovietico. Cantavamo di “Berlin o mai Berlin” che nel 1954 aveva osato ribellarsi e fu repressa dai carri armati “russi”. Si studiava e si attaccavano i manifesti il più delle volte scritti a mano con i pennarelli, neri, rossi e blu per meglio evidenziarli. In tutta Italia le organizzazioni sindacali, il PCI e gli estraparlamentari di sinistra che avevano dato vita anche a Salerno al MOVIMENTO STUDENTESCO, organizzarono una mobilitazione di massa, lo avevano chiamato il “ venerdì rosso” da celebrare in tutte le scuole, università e piazze. In preparazione di questo evento già c’erano stati dei forti scontri tra i nostri e i comunisti, in diversi istituti scolastici della città e all’università. Ricordo Sergio, era un universitario fuorisede, mi chiamò e volle farsi accompagnare all’interno di una assemblea tenuta da studenti comunisti, in un aula della facoltà di lettere, in un palazzo di via Generale Gonzaga. Noi,in due, all’interno del “covo” dei sovversivi. Mi chiese se mi sentivo di accompagnarlo. La risposta fu : stai tranquillo, insieme “spaccheremo il mondo”. Fortunatamente riuscimmo ad intervenire nella discussione, nonostante il malumore che si leggeva sul viso di quei ragazzi. Tuttavia gli scontri più violenti si erano verificati al liceo “T. Tasso”, a p.zza S. Francesco. Alcuni nostri camerati, del “Tasso”, si opposero a quella iniziativa. Furono aggrediti e feriti durante l’assemblea che doveva preparare l’evento proposto dalla “Sinistra”. Ci fu una riunione, un consiglio di “guerra”, in via Diaz tenuto dai vertici del partito. Si decise di intervenire in maniera dura e decisa per far capire che a Salerno, le “Sinistre”, non avrebbero avuto gioco facile come in altre città d’Italia. Ci fu una mobilitazione di tutti i giovani dl FdG (organizzazione giovanile del partito) e del FUAN (organizzazione che riuniva gli studenti universitari), non mancavano i patrioti operai. Fu composta una “Falange” di oltre duecento giovani. Tutti con caschi da motociclista, bastoni e tascapani con sassi e bottiglie di vetro vuote. Ci coprivamo il viso con delle sciarpe per non farci individuare dalla “Digos” ed avevamo, quasi tutti, degli scudi con l’effige dell’Ascia Bipenne e della Croce Celtica. Salimmo, schierati, per via Diaz e dopo aver raggiunto il mercatino rionale Sergio, lo studente universitario fuori sede, ordinò la “carica”. Il grido di Battaglia era: “ALL’ARMIII”. In piazza S. Francesco, sulle gradinate del liceo “Tasso”, c’era uno schieramento numerosissimo di “comunisti”. Ci aspettavano. La nostra “carica” e il nostro schieramento a “Falange” scompaginò le certezze dei “Rossi”. Tutti, ma proprio tutti, fuggirono a gambe levate. Fu divertente inseguirli fin dentro la Chiesa (che tuttavia rispettammo) dell’Immacolata. Il campo era libero senza aver fatto male a nessuno. La piazza era nostra. I Rossi a Salerno non avevano potuto attualizzare il loro piano sovversivo. Il Partito volle rispondere a questa azione della “sinistra” con una grande manifestazione di piazza che si tenne a Napoli. Il comizio, in piazza delle Poste, lo teneva il segretario Nazionale del F.d.G. Massimo ANDERSON. In via Diaz fu organizzato un pullman e tanti di noi vollero partecipare. Quella sera, non ricordo il motivo, ci furono dei violenti scontri con la ”Celere”, fu una serata drammatica ed esaltante. (1 continua)