Quell'empatia tra archi e tastiera - Le Cronache
Spettacolo e Cultura Musica

Quell’empatia tra archi e tastiera

Quell’empatia tra archi e tastiera

Preziosa musica cameristica al teatro Verdi di Salerno con il Quartetto d’archi della Scala e il pianista Dario Candela.

Di ROSANNA DI GIUSEPPE

Grande musica al Teatro Verdi di Salerno con il concerto da camera tenuto dal Quartetto d’archi della Scala composto da Francesco Manara e Daniele Mascoletti (violini), Simonide Braconi (viola), Massimo Polidori (violocello)  e dal pianista Dario Candela. Il difficile programma prescelto, ha posto in risalto la lucida padronanza del linguaggio musicale e il solido possesso delle qualità tecniche e interpretative degli esecutori che hanno affrontato due capolavori della letteratura cameristica: Il Quartetto per archi  op.135 in Fa maggiore di Beethoven e il Quintetto con pianoforte Op. 57 in Sol minore di Šostakovič. Il complesso ultimo stile beethoveniano cui appartiene l’op 135, numero conclusivo degli dei suoi ultimi quartetti composti tra il 1824 e il 1826, è emerso in tutta la sua ricchezza e profondità nella rigorosa realizzazione dei musicisti capaci di seguire la varietà e a volte apparente frammentarietà, oltre che la visionarietà dell’ultimo linguaggio del compositore, pur sempre nella tenuta d’insieme delle strutture  e nella resa organica della composizione. Con estrema nitidezza del suono e dell’intonazione, in serrato e attento dialogo tra le parti, gli interpreti ne hanno reso sia il  l’aspetto metacompositivo che l’intensa espressività musicale. Si sono così susseguiti con chiarezza in un consapevole equilibrio tra “cornice” e “contenuto”: i contrasti del primo movimento Allegrettoche presenta pur sempre una trattazione seppure alquanto libera della forma sonata ancora agente come una “potenza segreta”; il sorprendente secondo movimento Vivacein forma di scherzo che contrappone alla scioltezza iniziale un improvviso delirante passaggio centrale nel  fortissimo unisonodelle tre ottave gravi, su cui si staglia il virtuosismo del primo violino; il carattere meditativo del Lento assai, cantante e tranquilloevocante  la forma del tema con variazioni; l’Allegro  conclusivo che rimane nel mondo della  Sonata, ma preceduto da un’ Introduzione Grave su cui Beethoven pose l’enigmatica frase <<Deve essere? Deve essere>> che apre all’energico Finale, forse a rappresentare la vittoria della determinazione sui “demoni dell’oscurità” che come scriveva Beethoven “non  si lasciano mai ricacciare del tutto”. La bellezza del suono e il raffinato pianismo di Dario Candela hanno contraddistinto la seconda parte della serata dedicata allo splendido quintetto del compositore sovietico particolarmente segnato dalla scrittura virtuosistica della parte pianistica. Tale brano appartiene al  secondo periodo creativo di Šostakovič, quando aveva abbondonato lo sperimentalismo più acceso degli inizi, per aderire ad un formalismo maggiormente ossequiente alle tradizioni istituzionalizzate in cui pure continuò ad agire la sua grande forza inventiva ed un ottimistico intento costruttivo. Dei cinque movimenti in cui si articola la composizione sono stati di volta in volta resi, nella varietà e ricchezza delle sezioni, l’atmosfera suggestiva del Preludio,la complessità contrappuntistica del secondo movimento una Fuga resa con chiarezza e precisione dai cinque esecutori perfettamente conseguenti e connessi nella tessitura delle voci in diverse combinazioni, la nervosità delloScherzo  nel cui Trio centrale emergono  il  gioco tra primo violino e il pianorte nelle ottave più acute. Sono seguiti il lirismo intenso dell’Intermezzo e il rasserenato Finaledenso di idee musicali tutte limpidamente disegnate dagli esecutori nella padronanza vigile della ritmica  e di un  dialogo cameristico denso di sfumature. Calorosissimi gli applausi di un pubblico affascinato cui è stato offerto quale bis il brillante Scherzo del Quintetto per pianoforte ed archi di Schumann.