Pisano porta la Regione al Tar - Le Cronache
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Pisano porta la Regione al Tar

Pisano porta la Regione al Tar

di Andrea Pellegrino

Tanto tuonò che piovve. Pisano non ci sta, contrattacca e si rivolge al Tar. Alle proteste dei comitati che da anni si rivolgono alle istituzioni per la chiusura o quantomeno per la delocalizzazione delle Fonderie Pisano, fonte, a detta degli esponenti, di un grave inquinamento ambientale, con conseguenti danni alla salute dei residenti nell’area circostante, la proprietà risponde rivendicando il suo legittimo diritto ad esistere. Con un ricorso al tribunale amministrativo, le Fonderie Pisano attraverso l’avvocato Lorenzo Lentini, impugnano il provvedimento con il quale la Regione Campania, sulla scorta delle ispezioni condotte dall’Arpac, che hanno determinato la prima sospensione dell’attività nel mese di febbraio di quest’anno, ha sostenuto che, in sede di riesame del’Aia (Autorizzazione Integrata Ambientale) rilasciata nel 2012, l’impianto debba essere sottoposto a Via (Valutazione Impatto Ambientale) e Vi (Valutazione d’incidenza). Illegittima, per Pisano, la procedura adottata dalla Regione Campania, per carenza dei presupposti giuridici. L’assenza di comunicazione di avvio del procedimento di riesame (ex art.7 legge n.241/90) con la prescrizione di contestuale procedura Via e Vi non avrebbe, si legge nel ricorso, garantito il giusto contraddittorio procedimentale tra le parti, durante il  quale la ditta avrebbe potuto, invece, agevolmente dimostrare le proprie ragioni. Ovviamente, le tesi addotte dalla ditta, a proprio favore, sono facilmente intuibili: le Fonderie Pisano si sono insediate, nel lontano 1960, in un’area della valle dell’Irno, a destinazione industriale e che solo con l’approvazione del nuovo Puc del Comune di Salerno, in vigore dal 24 gennaio 2007, la destinazione dell’area in cui è ricompreso lo stabilimento industriale è stata modificata in “Comparto Residenziale denominato CR1″, prevalentemente residenziale. Peraltro, la trasformazione urbana del comparto sarebbe tuttora subordinata all’approvazione di un Pua ed alla previa delocalizzazione industriale con mantenimento dei relativi livelli occupazionali.
In buona sostanza, l’azienda ritiene che la preesistenza dell’impianto all’atto dell’emanazione della prima direttiva europea Via, recepita con DPR n.12.04.1996, escluderebbe l’applicazione di tale obbligo nei confronti di Pisano e che il processo di delocalizzazione, per il quale non sono prescritti termini di cogenti di attuazione, seppure avviato non ha trovato ad oggi una soluzione definitiva. Ma il ricorso non si limita a questi due aspetti che, seppur rilevanti, non danno il senso della reazione della proprietà ad  un provvedimento – quello adottato dalla Regione – con il quale si dispone il riesame dell’AIA previa acquisizione della Via e Vi circostanza questa che potrebbe determinare un fermo del ciclo produttivo, con conseguenze irreversibili per la sopravvivenza della società che per i livelli occupazionali, sino ad oggi garantiti.
Certo è che con il ricorso al Tar, la situazione sembra complicarsi ulteriormente. Infatti, se da un lato l’azienda intende apportare quei miglioramenti richiesti dall’Arpac per alleggerire la pressione ambientale, dall’altro, in assenza di previsioni normative certe, i tempi di delocalizzazione dell’impianto – come pure l’assoggettabilità in sede di riesame dell’autorizzazione Aia a Valutazione di impatto ambientale e di valutazione d’incidenza – potrebbero allontanarsi in caso di accoglimento da parte del Tar del ricorso.
Vero è, e di questo ci siamo già occupati, che se la Regione insieme agli enti coinvolti, in sede di rilascio dell’originaria Autorizzazione avvenuta appena quattro anni fa, avesse agito con maggiore attenzione, secondo il principio della massima prudenza, oggi vi sarebbe maggiore chiarezza. Perché nulla è cambiato dal 2012 ad oggi, se non l’attenzione da parte dei comitati e dei residenti stanchi di convivere con le fonderie. E, quindi, a posteriori, come contesta il legale nel ricorso, in assenza di modifiche sostanziali, non sarebbe possibile attivare procedimenti (Via e Vi) che sono strumenti preventivi di tutela ambientale.
“Questo però ci spinge a fare una considerazione che non appare del tutto trascurabile e cioè che la Via potesse essere richiesta in sede di rilascio dell’Aia nel 2012. Ciò in considerazione che nelle premesse dell’Autorizzazione Aia del 26 luglio 2012 rilasciata alle Fonderie Pisano, la Regione evidenziava che il procedimento amministrativo era stato avviato ai sensi del D.Lgs.152/06 e della L. n. 241/90 con le modalità relative alla prima autorizzazione, non rientrando l’istanza nella tipologia di impianto esistente, intendendosi con tale dicitura un impianto che, al 10 novembre del ’99, aveva ottenuto tutte le autorizzazioni ambientali necessarie all’esercizio o al provvedimento positivo di compatibilità ambientale o per il quale a tale data erano state presentate richieste complete per tutte le autorizzazioni ambientali necessarie per il suo esercizio, a condizione che esso sia entrato in funzione entro il 30 novembre 2000. Dalla lettura degli atti, appare, quindi,  oltremodo evidente che errori e superficialità hanno caratterizzato l’intero percorso sin qui seguito dagli enti ma anche dalla stessa Azienda essendo mancato il giusto bilanciamento tra due interessi costituzionalmente garantiti, il rispetto dell’ambiente con quello che garantisce l’iniziativa economica privata”. Ovviamente,  va innanzitutto garantito  il diritto alla salute e pertanto al di là delle decisioni del Tar sulla specifica problematica, la fabbrica non deve in alcun modo inquinare e gli enti tutti dovranno certificare in modo inequivocabile l’assenza di rischi per la salute dei residenti ma anche degli stessi operai. Una curiosità: il ricorso non impugna l’attuale provvedimento di sospensione dell’attività disposto, per la seconda volta a distanza di pochi mesi, dalla Regione Campania, il che lascia intendere che le Fonderie intendono rimuovere le irregolarità emerse nel corso dell’ultima ispezione.