Pino è: assassinio al San Paolo - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Pino è: assassinio al San Paolo

Pino è: assassinio al San Paolo

Di Antonio “Tonino” Florio

La notizia della scomparsa di Pino Daniele mi giunse sul mare, all’alba del 4 gennaio di tre anni fa. Ero sulla nave che da Napoli, tocca la Tunisia, Valencia e ritorna in quel centro del Mediterraneo, il cui canto e le musiche hanno sempre rappresentato per il suo popolo lo strumento maggiormente consono al suo animo per esprimere gioie e dolori e per dare maggiore carica emotiva ad un rito o ad un’occasione. La notizia si diffuse all’alba su di una nave multietnica e la maggioranza ebbe un pensiero per Pino Daniele, certo il maggiore fra i cantori della Napoli moderna, perché napoletane e moderne sono alcune delle sue canzoni più intense, cantate ancora oggi dai posteggiatori e fatte proprie da tutti i napoletani e non. L’operazione riuscita a Daniele è più di ogni altra straordinaria perché, pur contaminando e fondendo la melodia con rock, jazz e blues, è assolutamente presente in tutte le sue canzoni quell’originario Dna, che le fa riconoscere per tali, in una perfetta fusione di innovazione e tradizione. La stagione della canzone napoletana è sembrata tante volte esaurita. E invece quel misterioso e sfuggente Dna ogni tanto ricompare, e dimostra la vitalità di una tradizione inesauribile, vincente oltre la fine dei tempi. L’altra sera si è inteso convocare Napoli allo stadio San Paolo, in nome di Pino Daniele: un idolo, il poeta della chitarra, nel tempio di un sempre speranzoso riscatto attraverso il pallone, raggiunto unicamente nella stagione 1986-1987, che ancora si celebra nel segno di Diego Armando Maradona, portando il becero tifo da stadio, ignominiosamente addirittura tra gli stucchi del teatro più bello del mondo il San Carlo. Napoli ha risposto, naturalmente, poiché per il napoletano è una festa anche uscire semplicemente da casa: cinquantamila al San Paolo hanno saltato, danzato, baciato, pianto e anche cantato, poiché le canzoni di Pino Daniele, per la massa, sono come la Traviata, basta la pallida idea del motivo e si è catturati dalla propria e personale “idea” di quella melodia. Ma, l’altro ieri al San Paolo si è consumato un vero assassinio nella cattedrale, da parte della maggior parte dei cantanti, chiamati a partecipare ad uno spettacolo fiume, che ha quasi sfiorato le cinque ore. Una sfilata di “nomi” tutti appartenenti alla scuderia dell’agenzia di spettacoli Friends & Partners, di Ferdinando Salzano, ex manager del cantautore napoletano e ideatore dell’evento, per uno spettacolo di beneficenza a favore di alcune organizzazioni benefiche: Pino Daniele Trust Onlus, Open Onlus, Save The Children e Pino Daniele Forever. La sensazione della grossa e grassa marchetta si è purtroppo toccata con mano da subito, dalla qualità dell’audio e della regia con  “A me me piace ‘o blues” affidata ad Eros Ramazzotti e Jovanotti interrotta dopo le prime battute dalla pubblicità, dai duetti veramente imbarazzanti come quello di De Gregori che ha cantato Anema e core insieme alla moglie, Alessandra Gobbi, Mario Biondi con il Volo, per “Notte che se ne va”, Massimo Ranieri e Giuliano San Giorgi per Sicily, la celebre melodia di Chick Corea cui Pino Daniele fornì il testo, Gianna Nannini ed Elisa in una indefinibile “Je so’ pazzo”. Stonature, “squadrature”, parole massacrate, voci ormai finite, come quella di Teresa De Sio o di Ornella Vanoni, suonacci, arrangiamenti arraffazzonati, fatti per mettere insieme di tutto, rap, rock, praticamente mai provati, tanto che anche Senese, nelle sue entrate si è trovato in grave difficoltà. La lista è veramente lunga, per non parlare delle affermazioni che non fanno onore a chi vive di musica, come quella di Elisa che da Pino Daniele, sembra abbia imparato a riconoscere i silenzi, le pause, certo un’interessante rivelazione per la trionfatrice del Festival di Sanremo 2001, mentre una nota di merito va certamente ad Antonello Venditti che ha scelto di eseguire una sua canzone “Notte prima degli esami”, non cadendo nella trappola di voler “rifare” Pino Daniele e per Fiorella Mannoia, dignitosa interprete di “Terra Mia”. Follie anche per i testi degli attori, con Enrico Brignano preso a bordate di fischi nella sua insistenza nel voler accomunare Roma e Napoli, Vincenzo Salemme, un insulto all’ Eduardo di Questi fantasmi la sua interpretazione del monologo del caffè, Enzo De Caro nella sua infelice affermazione di un Pino Daniele musicista più avanti del poeta paroliere, che ha così dissotterrato l’ascia di guerra tra parola e musica dopo secoli, un plauso per la D’Abbraccio che ha donato “O’ mare” di Eduardo, anche se molto caricata, in stile  Regina Bianchi. Tanta retorica per uno spettacolo attassante, poiché non tutta la produzione di qualsivoglia artista da Bach a Beethoven, da Puccini a Verdi è meritoria, come pagine come quelle di Duke Ellington, scritte per i propri solisti o di Eduardo De Filippo, per sé e i propri attori o di Pino Daniele accrescono a volte quel tarlo ogni qualvolta li si ascolta, li si vede, immaginando quasi, che le loro opere possano essere portate in scena unicamente da loro. Finale, quando la gente oltre l’una lasciava già lo stadio, nella tradizione con i personaggi che hanno fatto la storia di Pino Daniele, ovvero la Nuova Compagnia Di Canto Popolare, con Raiz e Tony Cercola in “Donna Cuncetta” e il gruppo storico di Pino Daniele che lo ha affiancato per anni Tullio De Piscopo, James Senese, Tony Esposito, Ernesto Vitolo, Enzo Avitabile, Enzo Gragnaniello, Gigi De Rienzo, Elisabetta Serio, Fabio Massimo Colasanti, Agostino Marangolo, interpreti di “Tutta ‘n’ata storia”, con un ricordo affettuoso per Rino Zurzolo e Joe Amoruso. La musica di particolari interpreti, tra cui Pino Daniele e il teatro di Eduardo hanno un segreto in comune, l’opera del primo è intarsiata di incantate miniature, ma è attraversata da due metafore , un luogo e un viaggio, quella del secondo è fatta di riso, pianto, tamurriate in sordina, saggezza, ma tracciano insieme un itinerario verso il silenzio, un silenzio vivo, misterioso, corso da note e parole innumerevoli che se ne staccano mute, come le foglie da un albero, che deve accrescersi, nel rispetto assoluto delle sue radici.