Pillole per una Nuova Storia Letteraria 067 di Federico Sanguineti - Le Cronache
Editoriale

Pillole per una Nuova Storia Letteraria 067 di Federico Sanguineti

Pillole per una Nuova Storia Letteraria 067 di Federico  Sanguineti

                                                    Unesco e Scuola Medica a Salerno

 

 Di Federico Sanguineti

Al fine di dare un contributo al riconoscimento della Scuola Medica Salernitana a patrimonio immateriale dell’umanità varrebbe la pena prendere in considerazione la presenza di questa istituzione nella storia letteraria europea, a cominciare da testimonianze come il serventese di Peire Bremon Ricas Novas contro Sordello (BdT 330.6 v. 8), la cosiddetta ‘metgia’ di Aimeric de Peguilhan (BdT 10.26 v.12), la ‘tenso’ fra Guillem Rainol d’Az e Guillem Magret (BdT 231.3 = 223.5 v. 48), per venire a quanto scrive Uc de Saint Circ a proposito di Cunizza da Romano (BdT 457.28), condannata con l’argomento secondo cui (nella versione di Bertoni) “[a]llorché una donna si svia o fa uno sbalzo [fuori dal retto sentiero], è inutile che si consulti neppure con un medico di Salerno” (meige de Salerna, v. 12). Quindi, nel Mare amoroso (v. 301), “li miglior” medici del mondo “sono di Salermo” [sic]. In un sonetto di Cecco Angiolieri, Per ogni oncia di carne che ho addosso, si ha la domanda “Ma quale vita è santa e benedetta / secondo i gran maestri [ms. medici] di Salerno?” con la risposta “stu vòi star san, fa’ ciò che ti diletta”. E, venendo al Quattrocento, Burchiello denuncia l’indigenza (“povertà di verno”) come malattia mortale: “Già non vi val, a quel cotal dolore, / nessuna medicina di Salerno”. Ma conviene puntare su Dante, ai cui occhi, anziché patologico caso, Cunizza sana e salva appare “lietamente” (Pd IX 34). Nel curare la voce ‘medicina’ nell’Enciclopedia Dantesca, Michele Rak evoca infatti non solo l’iscrizione del sommo Poeta all’Arte dei medici e degli speziali e la sua designazione come ‘maestro’ (titolo spettante alla categoria), nonché la rappresentazione con ‘lucco rosso’ (caratteristico dell’ordine), ma richiama l’attenzione sulle più eterogenee specializzazioni: la “psicologia fisiologica” i cui elementi sono “ben presenti presso la scuola medica salernitana” (l’“anima” in quanto “virtute attiva” in Pg XXV 52), la ginecologia di Trotula (l’apparato sessuale femminile “perfetto loco” in Pg XXV 48), la “dottrina delle febbri” (“la quartana” in If XVII 86 e la “febbre aguta” in If XXX 99), nonché “uno studio sistematico dell’anatomia attraverso la pratica delle dissezioni” (le “giunture” in Pg XXVI 57). Naturalmente non occorre poi ricordare i medici presenti, a più riprese, nel Novellino di Masuccio Salernitano. Più singolare, un secolo dopo, è la novella terza della penultima deca degli Ecatommiti del ferrarese Giovan Battista Giraldi Cinzio (1504-1573), dove, benché in grado di custodire la scienza delle “mulieres salernitanae” (a cui Federica Garofalo nel 2020 dedica il “racconto ad episodi” Storie di donne e di cura edito da Robin), scambiando farmaco con veleno, una “gentildonna Salernitana”, Placida, uccide involontariamente il figlio Perpetuo e, nell’impossibilità di darsi pace, tentato il suicidio, impazzisce. Si giunge così, nell’Ottocento, al secondo capitolo delle Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo (1831-1861), in cui il dottor Sperandio, pur avendo “percorso gli studi a Padova”, “nominava con maggior venerazione la scuola di Salerno” e “nelle ricette poi si teneva molto ai semplici”, memore insomma del Regimen Sanitatis. Nel Novecento letterario, l’ultimo medico di scuola salernitana è “il dottor Tafuri” ‒ Antonio Tafuri (1925-1998) ‒, ricordato finalmente dal genovese, ma cittadino onorario di Salerno, Edoardo Sanguineti (1930-2010), nella lirica 16 della raccolta Postkarten (1972-1977).