Pillole per una Nuova Storia Letteraria 060 di Federico Sanguineti - Le Cronache
Editoriale lettura

Pillole per una Nuova Storia Letteraria 060 di Federico Sanguineti

Pillole per una Nuova Storia Letteraria 060 di Federico Sanguineti

                            Tema. L’autografo di Dante. Svolgo.

 

Di Federico Sanguineti

Volendo è possibile affermare, con le parole di un racconto di Dumas del 1836, Guelfes et Gibelins (lo si trova in Internet) , che quando Dante dà alla luce per intero il Poema, accada quanto segue: “Deux mille copies en furent faites à la plume et envoyées par toute l’Italie”. Ma le cose sono andate in modo più complicato, se le prime due cantiche risultano diffuse rispettivamente nel 1317 e nel 1319; in particolare, nei bolognesi registri della Curia del Podestà, ser Pieri degli Useppi da San Gimignano riproduce una terzina, Inf. III 94-96, regalando così alla posterità un “documento davvero venerando” (come lo definisce Giorgio Petrocchi), forse del tutto conforme a quello che doveva essere originale: “Elduca lui Caron no(n) ti crucciare / uuolsi cosi cola doue si puote / cio che si uuole (et) più no(n) dima(n)dare”. L’assenza di autografo si deve, fra le ragioni ipotizzate, al fatto che l’opera del Poeta incontrò nel cardinale Bertrando del Poggetto (scrive Giovanni Livi nel 1918) “un feroce, un vero nemico”. E tuttavia, a metà del XIV secolo, la fama dell’autore dell’Inferno è tale da superare persino quella dei classici latini, come spiega Lino Pertile nel suo studio su Dante popolare, pubblicato nel 2021: “I manoscritti della Commedia andavano a ruba e non se ne producevano mai abbastanza per soddisfare la domanda del mercato. In Toscana e ancor più nell’Italia settentrionale, con in testa Bologna, fioriva l’industria dei commenti; nei quarant’anni dalla morte del poeta ne erano stati prodotti, in volgare e in latino, almeno sei sull’intero poema, mentre abbondavano i commenti al solo Inferno e le chiose a singoli canti o gruppi di canti. Laici e religiosi, accademici e professionisti, nobili e borghesi, dirigenti e semplici cittadini partecipavano con uguale entusiasmo al culto dantesco. Tanto era noto e ricercato (ed esecrato) il poema che nel 1355 il Capitolo dei Domenicani di Firenze ne aveva vietato il possesso e la lettura a tutti i suoi fratelli”. Fatto sta che la prima fortuna del Poema sembra legata soprattutto al lavoro intellettuale di una categoria, quella dei notai, che nel corso del XIV secolo subisce un processo di proletarizzazione, testimoniato fra l’altro dall’ottava di un anonimo ancora trecentesco, di area emiliana, che così denuncia il proprio destino (il primo verso è ipermetro): «Debitamente solivam li notari  / actender solamente alle scripture / or li convien procacciar li somari / sì como mixi dentro delle mure / ad casa ad casa, come li fornari / per le taverne e per l’altre bructure; / ma ’1 bon salario li restora un pocho / ché spisso l’à magiore ’1 birro o el cocho». In altre parole, il guadagno notarile si abbassa al salario di un birro o di un cuoco, costringendo taluni a tenere di Dante “bottega aperta” (come il fabbro di un racconto di Sacchetti), trascrivendo “a prezzo” codici che, da Vincenzio Borghini in poi, “si chiamano di que’ del cento, et sono ragionevoli ma non però ottimi”. Ricostruire l’originale resta finalmente un problema tanto affascinante quanto, a prima vista, irrisolvibile.