Nicola e Pietro: Cerzosimo’ Style - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Nicola e Pietro: Cerzosimo’ Style

Nicola e Pietro: Cerzosimo’ Style

I due fotografi figli d’arte schizzano gli insegnamenti del padre Armando, per loro super, rigido, tenace e metodico, tra convergenze e deviazioni dall’estetica dell’immagine di famiglia

Di NICOLA E PIETRO CERZOSIMO

Quando l’arte è trasmessa nella sollecitudine degli affetti filiali, per non dir quasi nei geni, non meno agitata ne è l’acquisizione, diversamente da quanto possa suggerire l’opinione comune; ma, ciò nonostante, quando l’arte ha il per nulla snaturante ingegno di farsi impresa, le prospettive di figli e le aspettative del padre, nel bene e nel male (ma ci è più grato sottolineare nel bene), non possono che essere totalizzanti, e tracciare un solco comune per muovere i primi passi, nel quale riesce con più didascalico accompagnamento e, dunque, più efficace riuscita. È questo il caso dei decenni di attività, ora tangibilmente concretizzati in ben due studi — di padre e figli: un marchio-nome icastico, che si è saputo adattare ai tempi riattualizzandosi nella linea ideativa e performativa e nelle diversità d’interessi, di propensioni e d’ispirazioni di due generazioni e talenti dei loro tempi e dei loro esponenti; ma che riceve invariabile imprimatur dall’esperienza e dalla comunanza d’abitazione nel luogo della mente. Vedersi tracciare o tracciata una via, percorre dapprima i contorni della partecipazione ludica, della curiosità tangibile per gli strumenti di artiere, per le estensioni altre del corpo del genitore, e che ancora non vengono percepite nella loro dimensione impiegatizia e vocazionale; è l’infanzia: il momento che ammira non ancora consapevolmente, ma che assorbe ulteriore talento. Può, e deve, seguire nella formazione del figlio d’arte il momento che nega, ribalta, giura di disattendere tutto, e che legge nelle conflittualità, la proverbiale mela che rotola lontana dall’albero; ma è fondamentale questo mosso, ma non troppo, per l’orecchio che deve ascoltare, ascoltarsi e intonare, prima di tornare allo spartito — questo accecarsi per sottrarre al bagliore il chiarore della camera dove tornare a imprimere le immagini di sempre e le immagini nuove. Di me, Pietro, si dice che sia il naturale seguito di Armando, meno pacato, ma più impulsivo. Un cambio repentino di persona con macchina fotografica e senza. Personalmente ho scelto l’estetica della fotografia spontanea, come se la posa fosse un tabù, in realtà questo è il rifugio di chi alcune cose non le ha studiate o non le sa padroneggiare. La mia fortuna è stata quella di aver “vissuto” papà Armando, che mi sento di definire con due termini Super e Rigido, nel periodo d’oro della fotografia del ritratto in posa, il quale ne ha fatto una bandiera, un marchio di fabbrica e l’apprendimento è stato naturale. Io, Nicola sono dello studio sicuramente l’elemento meno definito in mansioni, grazie ad un percorso di studi che mi ha, si poi ricondotto all’interno dello studio, aprendo canali lavorativi e possibilità che prima necessitavano di professionalità esterne. Non è accettazione, men che meno rassegnazione, ma ri-vocazione che, infine, conduce, certo, alla responsabilità e al misurarsi con la fortunata realtà dei fatti, ma anche alla collaborazione creativa e ricreativa, al riconoscere sé negli altri e gli altri in sé; restano le divergenze, da un Armando “Tenace” e “Metodico”, psicologiche, magari per determinismo generazionale, e attitudinali come dettate dalla pratica e dalle maturità — ma la trasfusione d’arte è avvenuta, e l’amore per il mestiere fa il resto. Ci si augura, si è, continuità, posterità; e quando l’attenzione e la passione hanno il cipiglio dell’essenza, non può né potrà esserci imitazione. Poi, ci sono gli ultimi arrivati: Luca e MariaVittoria 12 e 9 anni. Cercate la vostra strada e trovate la vostra felicità. Anche lontano dallo studio. Ma sappiate che qui le porte per voi sono spalancate. Il cognome è ingombrante? Certamente no: quando il genitore è collega, il nome non è un peso da scuotersi di dosso o dal quale sentirsi lavorativamente schiacciati, ma responsabilità comune.