'Na tazzulella e cafè. Caffetteria "Mokì" - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

‘Na tazzulella e cafè. Caffetteria “Mokì”

‘Na tazzulella e cafè. Caffetteria “Mokì”

di Carmine LANDI

BATTIPAGLIA. Dalle nostre parti, sorseggiare un caffè risponde quasi a un rituale. Un caffè non è semplicemente una bevanda; un caffè è molto di più: un piacere, un incontro, una chiacchierata, un chiarimento, uno scambio di opinioni, un’occasione per confidare qualche segreto.

Forse è per questo che, dalle nostre parti, il bar assume quasi un alone di sacralità: un locale con un bancone diviene l’opportunità per creare una vera e propria comunità.

È questa la filosofia della caffetteria “Mokì”, un locale ubicato al civico 11 di piazza Aldo Moro che in nove anni – la nuova proprietà ha avviato l’attività nel 2006 – è riuscito a diventare un punto d’incontro per le più svariate tipologie di battipagliesi: diversamente da qualche altro bar, infatti, il Mokì riesce perfettamente ad accogliere grandi e piccini, giovani e meno giovani, e a rappresentare un vero e proprio luogo chiave per la comunità battipagliese. E il caffè, ve lo assicuriamo, è davvero buonissimo.

Oggi Domenico Guerrazza, 37enne titolare del locale, festeggia 9 anni di attività, e noi dedichiamo la nostra rubrica settimanale al suo bar proprio per augurare le migliori fortune a lui e al suo abilissimo staff, costituito da sua sorella Mariapia, dalla fidanzata, Marianna Rizzo, da Cosimo Nicolino e da Michele Roma.

Mokì proprietariDomenico, qual è il periodo che ricordi con più gioia?

«Di fronte a questa domanda, la mente corre immediatamente alla fase iniziale, in cui abbiamo dovuto affrontare le più grandi ed entusiasmanti difficoltà. All’inizio, infatti, non c’era ancora la piazza, ma soltanto un grande cantiere: non avevamo alcuna certezza circa l’effettiva realizzazione dell’opera. Proprio per questo, quegli attimi furono una vera e propria scommessa, un atto di coraggio che alla fine ci ha premiati».

Quali sono le due facce della medaglia per chi lavora in un bar?

«Inizialmente, dopo tanti anni di esperienza lavorativa extracittadina, mi sono scontrato con la durezza a morire di alcune chiusure mentali che, purtroppo, erano radicate da tempo: c’era bisogno di conoscere realtà nuove. Poi, però, dal punto di vista sociale, la città ha registrato qualche progresso. È bello, inoltre, assistere a un ricambio generazionale: molti dei bambini che nove anni fa venivano al bar coi genitori, oggi sono cresciuti e costituiscono una clientela fissa. L’unica amarezza è quella di non veder più alcuni miei coetanei: è come crescere con qualcuno per poi vederlo andar via».