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Musica per la fine dei tempi

Questa sera, alle ore 19,30 Campagna celebra il giorno della Memoria con un concerto del Fire Water Low Brass Ensemble, diretto da David Short, nella Cripta della Cattedrale di Santa Maria della Pace
Di OLGA CHIEFFI
C’è qualcosa di vivo e di eternamente rinnovantesi che resta dell’orrore dei lager, il miracolo della musica composta in quei luoghi di morte. Questa sera, presentata infatti, alle ore 19.30 la Cripta della Cattedrale di Santa Maria della Pace, in occasione del decennale del giorno della memoria ospiterà il “Fire Water Low Brass Ensamble”, diretto da David Short che saluterà quali protagonisti musicisti di fama internazionale, tra cui il trombone basso e tenore dell’Orchestra Sinfonica della Rai, Antonello Mazzucco, il trombettista Nello Salza, docente del conservatorio “G.Martucci” il sassofonista Daniele Scannapieco e il primo trombone dell’Orchestra Filarmonica salernitana “G.Verdi”, Nicola Ferro. La scaletta del concerto, promosso dall’Associazione Le Nuove Armonie, prevede una emozionante selezione di musiche scritte nei campi di concentramento, dallo Shabbat Hamalka, la preghiera del sabato di Zvi Pinkhof deportato a Bergen-Belsen, l’Hauschano gesang di Hugo Lowenthal da Terezin, e ancora Ich Liebe dich di Willy Rosen, sino alla musica scritta nei penitenziari sottoposti ad autorità occupante, da Stella del Porto creata nelle celle romane di Regina Coeli, per ridare la voce a grandi musicisti deportati e spesso trucidati dai nazisti. Un programma che va ad arricchirsi del tema di Schindler’s List, del Waltz n°2 di Dmitri Shostakovitch, da un medley di musiche di Ennio Morricone, due brani originali firmati da Nicola Ferro, “La mia Terra” e Lettura “Dio ti chiedo”, per riaffermare nel finale che “La vita è (sempre) bella” con la celebrata rumba di Nicola Piovani, affidata alla tromba di Salza. Scrivere musica era per loro l’unico modo di conservare la propria identità e di esprimere la spiritualità. Nonostante la disumana condizione di vita nei lager e la implacabile sorveglianza delle guardie, la produzione musicale nei campi di concentramento fu copiosa: la musica era infatti l’unica virtuale via di fuga dall’abbrutimento del quotidiano, ed è un miracolo che parte di quel repertorio sia sopravvissuto: una raccolta fatta di opere scritte su sacchi di juta, ritagli di stoffa, carta igienica, e su qualsiasi altro supporto di fortuna. Furono ritrovati nelle infermerie e nelle baracche dei campi e riportati alla luce grazie ai trafugamenti di guardie complici e alle trascrizioni dei prigionieri politici, oppure ricostruiti attraverso le memorie dei sopravvissuti. La musica è tutto ciò che ai deportati restava, e spesso tutto ciò che ci resta di loro. La morte, le torture, il dolore, il sangue, la fame, la vita ridotta a niente erano la routine quotidiana, ma l’orchestra e la musica non potevano mancare.
Ma qual era il suono della Shoah? Quale composizione poteva ‘dire’ il lugubre silenzio dei campi squarciato dagli urli delle sirene, dall’abbaiare dei cani, dallo sferragliare dei treni? Nei campi gli altoparlanti diffondevano musica da ballo per dare la sveglia o avviare al lavoro forzato; nei campi c’erano perfino orchestre formate dai deportati costretti a suonare mentre i loro parenti, amici, si avviavano verso la morte. Qual era il suono della morte? Che musica si eseguiva nei luoghi ai confini della vita? È noto che la musica era presente in molti luoghi dell’universo concentrazionario nazista: nei ghetti della Polonia o delle regioni baltiche, nei campi di concentramento e perfino in “città della morte” come Treblinka o Birkenau. Ma al di là delle loro composizioni preme ricordare la loro disciplina creativa e la ricerca di un costante equilibrio tra sentimento e ragione. Tutto questo, quando il tempo era già finito ed era chiaro che non c’era più tempo per nulla.