Il boss Michele Cuomo resta in cella: la Corte di Cassazione, con udienza del 10 giugno scorso e decisione di qualche giorno fa, ha specificato che il 37enne di Nocera Inferiore aveva un ruolo apicale e ben organizzato nel sodalizio criminoso, dedito al illecito traffico di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente (soprattutto cocaina cotta e cruda) sia nella città di Nocera Inferiore che all’interno del carcere di Salerno. Lo dimostrano, per i giudici del Palazzaccio, “i numerosi dialoghi captati tra vari associati intercettati a bordo delle loro autovetture e nell’abitazione di Cuomo nonché dalle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori agli inquirenti”. Per la Cassazione, ha ragione il Tribunale del Riesame che l’ha riconosciuto capo indiscusso del sodalizio criminoso: si evince “dall’assistenza economica garantita alla sua famiglia durante il periodo di detenzione; dall’obbedienza mostrata nei suoi riguardi dai vari componenti del gruppo; dal tono imperioso con cui è risultato rivolgersi ai suoi sodali (ad esempio per ottenere l’immediato rifornimento di droga da spacciare in carcere); dai frequenti rapporti avuti con i suoi luogotenenti, cui ha reiteratamente impartito ordini circa le illecite attività da compiersi”. E non solo: “la pretesa estorsiva esercitata nei confronti di Francesco Tramontano. Tutte accuse rigettate da Cuomo il quale, benché figura carismatica e seguita in subordinazione da diversi coindagati, non è mai assurto al ruolo di capo dell’associazione, non avendo, in particolare, mai provveduto a: dettare le strategie di spaccio, impartire i costi di vendita della droga, organizzare la logistica, fornire lo stupefacente”. Le conversazioni intercettate dimostrerebbero, invece, come, ben diversamente da come opera usualmente un capo, lui non fosse a conoscenza dei canali di rifornimento della droga, ovvero non avesse contezza del come fossero gestite le dinamiche di spaccio nei periodi di sua restrizione in carcere, perfino sconoscendo il nominativo di alcuni partecipi dell’associazione. “I plurimi elementi indiziari permettono di individuare il ruolo di indiscusso vertice del contesto associativo svolto dal Cuomo, e ciò non soltanto in regime di libertà, ma anche ristretto in detenzione carceraria, avendo sfruttato tale periodo per veicolare pure all’interno dell’istituto penitenziario l’attività di spaccio perpetrata dall’associazione – a tal fine impartendo specifiche direttive ai sodali posti all’esterno”. Il dato è reso evidente sia dall’assistenza economica che il gruppo gli garantisce durante la sua carcerazione (è il parente Rese Domenico che si reca periodicamente a casa della moglie Valeria Pepe e gli consegna denaro) sia dall’obbedienza che ha, verso di lui, il gruppo”, conclude la Cassazione per il ricorso sul blitz della scorsa primavera.
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