Maurizio Pollini: Schumann e Chopin - Le Cronache
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Maurizio Pollini: Schumann e Chopin

Maurizio Pollini: Schumann e Chopin

di Olga Chieffi

La grande attenzione prestata agli aspetti formali dei brani suonati e la scrupolosa fedeltà alla pagina che si accinge a suonare, volta ad offrire al pubblico la musica nella sua forma più pura, nella sua “verità”, fa di Maurizio Pollini, uno dei più carismatici “sacerdoti” del pianoforte, il cui nome evoca una carriera impareggiabile, una storia di uomo e d’artista, applaudita da diverse generazioni. Il suo repertorio, che si estende da Bach ai contemporanei, testimonia la profonda conoscenza della musica di ogni tempo. Se nel 2020 l’Auditorium Oscar Niemeyer ha visto il debutto a Ravello di Riccardo Muti e Cecilia Bartoli, quest’anno vedrà quello di Maurizio Pollini. Domani,alle ore 20, la sala disegnata dall’architetto brasiliano, già sold out da settimane, accoglierà una delle leggende della musica di tutti i tempi che, grazie ad una carriera eccezionale, lo ha portato ad essere nel mondo una delle figure più rappresentative del nostro Paese. “Quando l’anno scorso sono ritornato alla direzione artistica del Ravello Festival – spiega il direttore artistico Alessio Vlad – mi sono prefissato l’obiettivo di portare a Ravello, cominciando dagli italiani, i più importanti musicisti in attività, contando, anche, sulla possibilità che l’Auditorium Oscar Niemeyer offre affinché il Festival si possa arricchire anche della presenza di quei musicisti che solitamente si rifiutano di suonare all’aperto. Ed ecco, dopo Muti e la Bartoli, Maurizio Pollini, senza dubbio i tre interpreti italiani che più di tutti, da anni, rappresentano l’Italia nelle sale da concerto, nei festival e nei luoghi dedicati alla musica più importanti del mondo, personalità che mai si erano esibite a Ravello”. Il debutto al Ravello Festival è affidato a Robert Schumann e Fryderyck Chopin, un dittico di gemelli diversi, che non potevano rinunciare al grido lacerante di una generazione, che non sapeva vivere senza soffrire. Il concerto verrà inaugurato dall’Arabeske op.18 di Robert Schumann, una delle rare concessioni a regole formali prestabilite, un rondò, con tre enunciazioni del refrain, intercalate da due episodi in modo minore. La pagina riprende il colore luminoso della tonalità di do maggiore per dar vita ad una trama polifonica di ornamenti delicati e trasparenti, increspati da frequenti emersioni di una singola voce o di un’inattesa armonia cromatica. Un ricamo, ripetuto con compiacimento ai limiti dell’ossessione, alimentato da una instancabile ricerca di purezza. La coda, onirica e contemplativa, sospesa, è l’apoteosi di questa estetica. Seguirà l’Allegro op. 8, scritto durante il breve periodo degli studi con Dorn, creato secondo la raffinata tecnica motivica dell’ultimo Beethoven, una pagina dal carattere essenziale e sperimentale. Il portrait schumanniano verrà sigillato dalla Fantasia op.17, inizialmente pensata per Clara Wieck: «II primo tempo – le scrive Robert – è davvero quanto di più appassionato abbia mai fatto: un profondo lamento per te». E’ l’epigrafe dell’opera, ma la dedica è per Franz Listz: «Tra tutti i suoni, nel variopinto sogno terrestre, ne risuona uno, prolungato, per colui che segretamente ascolta». Tumulto dell’ispirazione ed ordine formale trovano equilibrio nei tre movimenti, in cui il finale sacrifica la convenzione di chiudere su un allegro, per tener fede al senso più intimo di questo poema musicale, ove il disordine del mondo, simboleggiato dai primi due movimenti, trovano lirica compensazione in quell’universo notturno, rivelazione di una dimensione altra, cui tendere. Si passerà, poi, all’amato Chopin con la Sonata op.35. Quando Schumann ebbe modo di esaminare quest’opera, ne rimase sconvolto: “Un capriccio o un’audacia sotto la denominazione di Sonata fa contrabbando dei quattro più folli figli del suo spirito”, la Marcia funebre “ha persino qualcosa di repulsivo”. Fra tutte le composizioni, questa è, indubbiamente, la più imbevuta di immaginazione, quella che rivela il significato più irrecusabile, da cui emerge tutto ciò che sappiamo di Chopin. A seguire, la Berceuse op.57, caratterizzata dal clima cullante e dall’avvolgente lirismo, propri della ninna nanna e dall’ arte della Variazione. L’opera conta quattordici variazioni su un tema originale: la mano destra presenta una melodia arabescata, dal carattere improvvisativo, alla quale si contrappone un basso ostinato fisso. Finale pirotecnico con la Polacca op. 53, “Eroica”, che resta una delle vette indiscusse del pianismo romantico, nome dovuto alla bellezza e all’incisività di temi che rimangono scolpiti, evocanti sia il sentimento eroico e patriottico, sia quello malinconico e nostalgico, in una straordinaria virtuosità di scrittura.