L’omicidio di Persico alias "Coca Cola" non fu di camorra - Le Cronache
Salerno

L’omicidio di Persico alias “Coca Cola” non fu di camorra

L’omicidio di Persico alias “Coca Cola” non fu di camorra

Pina Ferro

 

Omicidio di Vincenzo Persico, alias Coca Cola, rideterminata la pena per i tre imputati. La sentenza della Corte d’Assise e d’Appello è arrivata nella giornata di ieri a seguito dell’annullamento con rinvio della sentenza di secondo da parte della Corte di Cassazione a cui avevano fatto appello i tre imputati. La rideterminazione si è resa necessaria a seguito della esclusione dell’aggravante da parte dei giudici capitolini del metodo mafioso. Ieri, i giudici di Assise e di Appello del Tribunale di Salerno hanno condannato il killer Alberto Volpicelli a 14 anni (in precednza era stato condannato a 19 anni), Domenico Lamberti, alias Mimmo ’a Mafia, a 12 anni (in precednza era stato condannato a 16 anni), e Angelo Di Lucia 10 anni 10 mesi e 20 gioni (in precednza era stato condannato a 14 anni). Tutti e tre avevano fatto ricorso alla Suprema Corte. Il collegio difensivo era composto, tra gli altri, dagli avvocati Mario Pastorino, Massimo ed Emiliano Torre. L’omicidio, avvenuto nel gennaio del 2014, maturò nell’ambito della guerra per la spartizione delle piazze di spaccio nei Picentini. Il 27enne del centro storico di Salerno, soprannominato Enzo “coca cola”, si era da poco trasferito a Montecorvino ospite della sorella. Il trasferimento avvenne in virtù di un obbligo di dimora legato a una condanna per rapina. Persico, figlio del boss Ciro Persico, fin dal suo arrivo nel territorio dei Picentini avrebbe cercato di ritagliarsi un ruolo negli affari illeciti della zona, anche a costo di pestare i piedi al gruppo delinquenziale di cui Volpicelli faceva parte. La sera dell’omicidio, Volpicelli e Persico ebbero un litigio: Persico schiaffeggiò il rivale. Quel litigio avvenuto dinanzi all’abitazione di Nicola Brunetto (anche egli imputato nel processo e condannato a sei anni e otto mesi), All’epoca il sostituto procuratore Vincenzo Montemurro nel corso delle indagini ha ricostruito che lo schiaffo fu l’ultimo atto di un braccio di ferro, un affronto che Volpicelli decise di lavare col sangue e per il quale corse da Lamberti (individuato come il suo superiore gerarchico) chiedendogli la calibro 9×21 per attuare la vendetta. Poi tornò da Brunetto e insieme a De Lucia (che aveva assistito all’alterco e guidò lo scooter per l’agguato ) si fece dare sciarpa e guanti per commettere il delitto.