L’Inquisitore di Papa Wojtyla e i gendarmi di Papa Francesco - Le Cronache
Primo piano

L’Inquisitore di Papa Wojtyla e i gendarmi di Papa Francesco

L’Inquisitore di Papa Wojtyla e i gendarmi di Papa Francesco

L’arresto di una cittadina italiana in presunta correità con il Cardinale Becciu, per il reato di peculato, pone questioni non semplici e apre spazi ancora inesplorati nei rapporti tra Stato e Chiesa. Al momento, la vicenda di un Cardinale di primo piano nella compagine governativa della Santa Sede, coinvolto in una vicenda disdicevole, risulta appannata di clamore per la contemporaneità della tragedia del Covid. Ma la Storia dei rapporti tra Chiesa e Stato prescinde, nel suo percorso evolutivo, dalle contingenze momentanee. Può dirsi che tale percorso evolutivo ha subito una enorme accelerazione sotto il pontificato di Francesco. Cronache di Salerno è stato forse l’unico giornale a ricordare, quando il caso Becciu è esploso, il precedente storico dell’inchiesta di Michelangelo Russo, Procuratore di Lagonegro, sul Cardinale di Napoli Michele Giordano, inquisito per concorso in usura e appropriazione indebita dei fondi dell’Arcidiocesi. Correva l’anno 1998. Due anni dopo, il Cardinale e il fratello furono assolti, mentre gli altri diciassette imputati furono condannati. Ma l’inchiesta, fin dalle prime ore, fu un colpo duro per la Santa Sede. Indizi consistenti, tra cui centinaia di milioni dell’epoca partiti ingiustificatamente dalle casse di San Gennaro per finire ai nipoti del Cardinale, sconcertarono l’opinione pubblica e imbarazzarono non poco la Segreteria di Stato vaticana. Romano Prodi, Presidente del Consiglio, e Angelo Sodano, Segretario dello Stato Pontificio, congelarono il possibile scontro diplomatico dagli esiti incerti, nell’attesa degli esiti dell’inchiesta di Russo. L’inchiesta proseguiva, intanto, incurante delle ammonizioni di pur autorevoli costituzionalisti cattolici sull’indebita interferenza dell’Italia negli affari di un altro Stato. Nella delicatezza del momento, il Vaticano scelse il profilo basso dopo il primo attacco. Ma fu il Cardinale di Napoli a parlare dalle televisioni, con diffusione internazionale, contro il Procuratore Russo, insistendo sulle intrusioni di campo di un magistrato italiano in faccende di quella particolare organizzazione mondiale, dotata di sovranità territoriale comunque, che è la Chiesa Cattolica. Le sue interviste di invettiva, però, iniziarono ad avere un effetto contrario sul popolo dei fedeli, accentuando l’imbarazzo del Vaticano che reagì con l’assoluto silenzio di Wojtyla e della diplomazia pontificia. Pur tuttavia, il silenzio diplomatico non voleva dire indifferenza a quanto stava accadendo. Dai telegiornali improvvisamente sparì la conferenza pressoché quotidiana del Cardinale, facendo apparire al suo posto un misterioso personaggio definito dalle cronache come un “portavoce” del Vaticano mandato a sostituire il Primate napoletano nei contatti con la stampa. Nessun comunicato del Vaticano smentì ufficialmente la notizia, per cui il misterioso inviato fu accreditato ufficialmente come un messaggero della Segreteria di Stato vaticana intervenuto per zittire il Cardinale e intavolare un dialogo trasversale con gli inquirenti italiani. Dopo diversi giorni e alcune conferenze stampa dell’inviato che sconcertarono alquanto i giornali per la fumosità dei discorsi dell’inviato, il contatto, come ha ricostruito adesso Cronache di Salerno, effettivamente ci fu con i Pubblici Ministeri di Lagonegro e con la Guardia di Finanza italiana. Va detto che per una coincidenza storica ventidue anni fa, la Guardia di Finanza intervenne nell’indagine di Lagonegro cosi’ come adesso è intervenuta arrestando Cecilia Marogna del caso Becciu. È evidente che per questa inchiesta ci sono stati contatti tra le Polizie dei due Stati e i rispettivi magistrati del Pubblico Ministero. La politica di Bergoglio ha segnato un momento di chiarezza e di secolarizzazione delle procedure giudiziarie, mettendo al passo, oggi, il Vaticano con la certezza delle norme che è tipica degli Stati di moderna democrazia. Questo aspetto rischia di sfuggire nel momento che tutti viviamo; ma, mettendo da parte le cronache della paura, la riflessione sul cambiamento di passo della diplomazia vaticana può portare ben oltre la vicenda umana di Becciu. Tanto più se si confronta la rapidità di azione dell’inchiesta su Becciu, improntata a una limpida azione di coordinamento fra gli apparati giudiziari di Santa sede e Stato italiano, con le ambiguità e le stranezze di ciò che avvenne, per il Cardinale Giordano, nella tarda estate del 1998.