Le riforme a costo (quasi) zero di cui non si parla - Le Cronache
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Le riforme a costo (quasi) zero di cui non si parla

Le riforme a costo (quasi) zero  di cui non si parla

di Roberto De Luca

In un recente contributo di qualche anno fa, Tito Boeri e Pietro Garibaldi elencavano una serie di interventi da poter effettuare a costo zero per far ripartire il Paese e stimolare una nuova fase di crescita. Le riflessioni degli autori possono essere ampliate e valutate in un’ottica diversa, facendo specifico riferimento alla facilità di fare impresa in Italia e al sistema normativo/regolatorio in vigore, che rappresenta ancora un elemento di forte appesantimento del nostro sistema imprenditoriale, che spesso riesce ad eccellere “nonostante” (e non grazie a) lo Stato e Istituzioni che a vario titolo intervengono in numerosi processi economici. L’impressione di un ecosistema generale che non aiuta l’intrapresa privata e lo sviluppo dei territori è, in realtà, confermata anche da numerose ricerche scientifiche. Premesso che tutte le classifiche sono di per sé parzialmente opinabili o contestabili, le indagini elaborate in maniera metodologicamente solida vanno comunque tenute nella debita considerazione. Sul punto, la classifica “Doing business” redatta dalla Banca Mondiale, nel 2020, ha collocato il nostro Paese al 58° posto (su 190) per il contesto normativo relativo alle iniziative economiche. Se l’Italia eccelle nel commercio estero (1a posizione) e mostra buone prestazioni per ciò che concerne la risoluzione delle insolvenze e la registrazione di proprietà, vale la pena evidenziare anche i numerosi elementi di debolezza.I fattori che registrano la performance peggiore (tra 119° e 128° posto) sono, rispettivamente, quelli connessi all’accesso al credito, alla capacità di far rispettare contratti / accordi commerciali e al sistema fiscale e contributivo (in relazione sia al livello complessivo di tassazione e contribuzione che alla sua complessità). I parametri “creare un’impresa” e “ottenere permessi di costruzione”, ancorchè registrino prestazioni migliori, ci vedono in ogni caso posizionati intorno al 100° posto. Questi elementi, spesso accomunati e raggruppati sotto l’unica voce “burocrazia”, hanno certamente un effetto molto incisivo sulla competitività del sistema paese nel suo complesso, che secondo alcune ricerche genera oneri aggiuntivi per le imprese pari a oltre 57 miliardi di euro ogni anno. Procedure farraginose e spesso cervellotiche sono dannose anche per quanto riguarda l’attrazione di capitale da parte di investitori esteri i quali, più che agli incentivi e a bonus di vario tipo, valutano i tempi degli iter amministrativi, l’efficacia del sistema giudiziario, la capacità di tutelare i propri interessi e così via. Pur nella consapevolezza che per scalare posizioni in classifica e migliorare un intero ecosistema istituzionale ed economico non esistano soluzioni immediate o di facile realizzazione, è evidente che il tema in questione dovrebbe rappresentare una priorità assoluta per la classe dirigente di un Paese che si avvia a una consultazione elettorale. A tal proposito, non potranno più bastare fumosi richiami a liberalizzazioni o sburocratizzazioni, ma sarà necessario elaborare riforme organiche e credibili che riescano a farci superare alcune delle criticità che frenano gli investimenti (si pensi alla “moda” dei ricorsi amministrativi, a pareri di Sovrintendenze o di altri enti che non arrivano mai, a conferenze dei servizi in cui i soggetti si palleggiano le responsabilità – a volte spazzando la palla in tribuna – e così via). L’obiezione, in questo caso, sorge spontanea: è più facile promettere bonus, doti e prebende varie (da offrire in deficit o senza spiegare quali siano le coperture) che intraprendere un percorso concreto di efficientamento della macchina amministrativa (anche attraverso opportuni meccanismi di valutazione e premialità), di formazione del personale, di miglioramento della qualità delle istituzioni, di innalzamento degli standard qualitativi dei servizi pubblici (che sono considerati in maniera positiva solo dal 35% della popolazione). “Vasto programma”, avrebbe detto il generale De Gaulle, ma poiché è già molto vasto anche il nostro debito pubblico, speriamo che questa sia la volta buona.