La castagna regina di Sicignano degli Alburni - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

La castagna regina di Sicignano degli Alburni

La castagna regina di Sicignano degli Alburni

Archiviata in laetizia la XLVI sagra dedicata al frutto che segna l’inizio dell’autunno. Raccolto in sensibile ripresa per qualità e quantità

Di OLGA CHIEFFI

L’autunno più intenso è quello da vivere nei nostri piccoli borghi dove l’aria ad ottobre profuma di caldarroste e legna bruciata. L’aria diventa all’improvviso più fresca e cominciano a cadere i frutti delle castagne. La castagna diventa quindi “regina” nei territori ricchi di secolari boschi, e risorsa sostanziale per la gente che li abita. Questo frutto un tempo era l’alimento dal quale molte popolazioni traevano il principale sostentamento, al punto che il castagno venne ribattezzato “albero del pane”.  Una tra le sagre più antiche e accorsate è certamente quella di Sicignano degli Alburni, giunta alla XLVI edizione, svoltasi lo scorso week end tra arte, spettacoli e braci accese nel corso della quale è stato possibile assaggiare primi piatti e dolci a base di castagna, festeggiata anche per una sensibile ripresa del raccolto per qualità e quantità. Non molto pubblicizzata, purtroppo come le precedenti edizioni, il paese ha accolto con la sua rinomata ospitalità i suoi visitatori, aprendo le porte del restaurato Castello Giusso del Galdo con visite guidate, lasciando invadere le strade da suoni e colori di artisti di strada e gruppi musicali itineranti, unitamente agli  sbandieratori, trombonieri e cavalli del gruppo Filangieri di Cava de’ Tirreni, per la rievocazione storica della battaglia di Sarno, catturando il pubblico con concerti affidati alla voce graffiante e spigolosa come gli Alburni di Pietra Montecorvino con Parranda Groove Factory, ai Briganti e Bottari degli Alburni per il folk per chiudere con gli Skanderground, una formazione di Polignano a Mare dedita allo Ska  che si tinge di differenti sfumature come l’indie, il reggae. Il momento più intenso e sentito è certamente andare a toccare con mano il riccio caduto, sul posto, nei castagneti ripuliti dove il verde del sottobosco sposa il marrone caldo della castagna che occhieggia dal suo “giubbino”. Quest’anno abbiamo abbiamo passeggiato nelle tenute del Monte dei Mele di Palmyra Amato, da circa tre anni alla testa dell’azienda di famiglia, un impegno gravoso in cui far confluire le anime contrastanti del commercio e quella romantica e nostalgica di una tradizione di antica data. Dalla passeggiata a Monte di Sicignano tra file, senza soluzione di continuità, di avventori che raccoglievano dal ciglio della strada i ricci caduti fuori dei confini delle proprietà, al paese, i cui marciapiedi ospitavano artigiani, stand con ogni leccornia dolce e salata (non dimentichiamo che il castagno sposa porcini e tartufi) e sacchi di castagne d’ogni pezzatura in vendita ad ogni angolo di strada, l’essenza di una festa che è anche nei “carruocioli” carrette di legno dei ragazzini, antico giocattolo con cui ci si lancia giù per le discese del paese. Dai castagneti dell’Azienda Monte dei Mele, siamo stati ospiti del suo punto vendita per la sagra, elegantemente allestito nel grande portone della casa patronale, tra antiche ceste e foglie di castagno, con tavole esplicative del duro lavoro che occupa da metà settembre sino agli inizi di novembre le raccoglitrici di questi frutti. Mestiere antico e femminile  questo, che mantiene il sapore del rito, oggi che esistono anche raccoglitrici meccaniche, e che deve chiudersi con il grande pranzo offerto dal padrone, dopo aver lavorato per giorni da mane a sera inginocchiate sulla terra fino a sentirne l’odore, pulendole dai ricci e dalle foglie.  Non c’è festa senza musica e ospite di Palazzo Amato è stato Antonio de Lucia, artigiano costruttore di tammorre e antichi strumenti del folklore campano. Rappresentante, il nostro Antonio di quel tentativo di continuare a dare voce, corpo e anima ad una tradizione che resta rito di rigenerazione e protezione.  Antonio ha il suo laboratorio a Ospedaletto d’ Alpinolo, punto di partenza dei pellegrinaggi per il Santuario di Montevergine, lì oltre le tammorre tradizionale fatte di pelle di capra essiccata produce scetavaiasse, castagnette, zampogne e ciaramelle, cimbali, vere e proprie radici in movimento di un albero della musica di cui siamo da sempre parte.  La percussione, il ballo sul tamburo che è la tammorra è la materializzazione sonora del tempo che ci trascende. E’ prendere possesso del tempo nel corpo, che siamo attraversati dalla coscienza infinita che, di generazione in generazione, fa l’Uomo. Antonio ha  conquistato la fiducia di musicisti del calibro di De Piscopo, Avitabile, Bennato, ad alcuni dei quali dà spesso appuntamento per acquisti proprio nel weekend dedicato alla castagna e alla sua musica, e di tante persone non vogliono dimenticare le proprie tradizioni, il proprio passato, la propria memoria. che posseggono ancora nel proprio sguardo quell’incanto che non è solo meraviglia, ma è e continua ad essere riflessione del “cogito”, persone che riescono ad andare oltre il tempo attuale, continuando a domandare e a meravigliarsi.