Il canto perduto di Lighea - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Il canto perduto di Lighea

Il canto perduto di Lighea

Ultima replica, stasera alle ore 21, nel quadriportico della cattedrale per Luca Zingaretti protagonista de’ la Sirena di Giuseppe Tomasi di Lampedusa

 Di OLGA CHIEFFI

 Torna a Salerno Luca Zingaretti, dopo ben otto anni con La Sirena una produzione della  Zocotoco protagonista assoluto di un reading dal racconto Lighea di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, con le musiche di Germano Mazzocchetti, ospite, di un Napoli Festival in Tour, che ha fatto tappa ieri e ancora oggi, alle ore 21, nel quadriportico del nostro Duomo. La vicenda è ambientata nel 1938; in un caffè di Torino (“luogo geometrico di vite fallite”) si incontrano casualmente due siciliani, il giovane giornalista Corbera, “al liceo moralmente bocciato in greco”, e l’anziano ex-senatore La Ciura, grecista, studioso esimio, onore della Nazione, che vive dignitosamente della pensione e dell’indennità parlamentare: “parlava con solenne distacco, ma serenamente, come in un dialogo platonico”. I due si confrontano sulla “loro” Sicilia, i sapori, gli odori, le solitudini, gli sguardi; il senatore, dopo decenni di lontananza, ricorda fatti minimi, come “il mare che l’uomo non può guastare”. Dopo la iniziale conoscenza subentra la complicità e, la notte prima di partire in nave per Coimbra per un convegno, il senatore racconta al giornalista un episodio di gioventù che gli ha cambiato la vita: una mattina al mare ha incontrato Lighea, la sirena figlia di Calliope, la quale “senza espressioni accessorie esprimeva solo se stessa, una bestiale gioia di esistere, la divina letizia di essere se stessa”; parlava in greco antico, la voce come un canto mai udito prima, diceva “noi sirene amiamo soltanto, non uccidiamo nessuno”. L’incontro appare come la verità più sicura, una verità mai dubitata. La sirena diviene metafora della vita: non tanto la rinuncia, quanto l’impossibilità di accettare successivamente piaceri giudicati inferiori. Così si chiariscono episodi precedenti della narrazione, quello dei ricci di mare da mangiare senza aggiunte (“non bisogna mai mischiare i sapori”); quello degli sputi che esprimono il disgusto nei confronti dei fatti riportati dai quotidiani e della mediocrità dei contemporanei; quello della lingua greca antica e il conseguente detestare le persone che “credono di sapere e invece ignorano”, presi dalle forme esteriori. Si delineano due mondi e due psicologie, accomunati dalla malinconia, pensando a una vita dedita allo studio di un mondo (a torto) considerato passato e vissuta nel ricordo di un amore perduto, una passione forte e primitiva tra realtà e immaginazione. Una vita che circolarmente si conclude con l’abbraccio col mare e la dissoluzione nei ricordi. Nella scena essenzialmente buia le parole risuoneranno concatenate le une alle altre, come una leggera e riposante discesa, tra spruzzi di mare, il sole cocente e i sorrisi estatici ed ironici delle statue greche arcaiche. Lo spettacolo è la cronaca di un incontro intellettuale e di uno scambio di battute e riflessioni tali da ipnotizzare lo spettatore. E se i due uomini si appassionano a lanciare sguardi mentali sul passato e sul presente, è sul tema dell’amore, e dell’eros, che si scatenano. Cinico e predisposto a veloci avventure con ragazze disponibili il giovane giornalista, avvinghiato al ricordo di una grande passione di gioventù l’anziano nostalgico. Una passione per una sirena, che anni prima fu capace di avvolgerlo in una giornata siciliana in cui il caldo non sembrava dare scampo. Riadattando un testo che Tomasi scrisse a poco tempo dalla morte, Zingaretti ne mantiene fedele il gioco di contrasti: tra un freddo e razionale Nord e un conturbante, emotivo Sud. I due fronti in tensione di ogni animo umana.