I mille volti di Cuscunà - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

I mille volti di Cuscunà

I mille volti di Cuscunà

Successo unanime per la giovane friulana e le sue pupattole vulcanica interprete di “La semplicità ingannata”, evento del cartellone di Mutaverso Teatro

 Di Aristide Fiore

 Rievocare esempi storici di riscatto nei confronti delle convenzioni sociali può costituire uno stimolo utile in un’epoca come la nostra, nella quale delle conquiste date ormai per acquisite, almeno per quanto riguarda la società occidentale, sono di fatto messe in dubbio da evidenti contraddizioni. Da tale premessa nasce il progetto teatrale di Marta Cuscunà, dedicato alle “resistenze femminili”, del quale fa parte anche lo spettacolo “La semplicità ingannata” (satira per attrice e pupazzi sul lusso d’esser donne), da lei ideato e interpretato, che è stato presentato per la prima volta in Campania nel cartellone di Mutaverso Teatro, proposto da Vincenzo Albano. L’episodio sul quale si basa la messa in scena è la singolare forma di ribellione posta in atto nel XVI secolo dalle monache di clausura del convento di Santa Chiara a Udine, le quali, contravvenendo alla regola, fecero del loro eremo un vivace centro culturale, la cui utilità si rifletté positivamente anche sulla comunità udinese, attraverso l’educazione delle ragazze, l’incoraggiamento del libero pensiero e il contributo alla circolazione delle idee. L’elaborazione letteraria che sta alla base del testo trova la giusta rispondenza nelle doti interpretative di Cuscunà, che in questo lavoro è impegnata nel passaggio tra registri diversi, quello drammatico della prima parte e quello comico satirico della seconda. L’inquadramento del contesto nel quale si svolge la vicenda centrale è tratto da due fonti, una di pochi decenni posteriore e una contemporanea. Le opere della monaca veneziana Arcangela Tarabotti (1604-1652), una delle quali dà il titolo allo spettacolo, sono dotte dissertazioni sull’ingiusta disparità dei sessi e sulla critica aperta e ben argomentata di un sistema sociale fondato sugli interessi economici, che comportava, tra l’altro, la destinazione forzata alla vita religiosa, un grave sopruso del quale fu vittima la stessa autrice. Il saggio storico di Giovanna Paolin, “Lo spazio del silenzio” (1998), riprende i temi trattati da Tarabotti, ricostruendone la biografia e mostrando esempi di resistenza alla segregazione, tra cui quello delle clarisse di Udine. Nel portare in scena la narrazione dell’esperienza emblematica di Suor Arcangela (qui semplicemente “Angela”) si è fatto ricorso a una terza fonte, per molti facilmente riconoscibile: il testo del capitolo IX dei “Promessi sposi”, che tratta dell’infanzia e della prima giovinezza della famosa Monaca di Monza, altro caso di monacazione forzata contemporaneo alla vicenda di Tarabotti. Opportunamente ridotto e adattato a monologo, sia pure animato dall’interpretazione di altri personaggi (il padre, l’anziana badessa e il vicario) negli stralci di dialoghi, il testo, particolarmente efficace dal punto di vista introspettivo, del Manzoni, attraverso un’interpretazione vivace e intensa, restituisce efficacemente la parabola di una fanciulla il cui destino era forse già stato deciso prima della nascita dall’ossequio incondizionato alla legge del maggiorasco, ma che tuttavia vide confermata la sua condanna a causa di un difetto fisico che avrebbe reso problematica l’eventuale ricerca di un marito, prima di tutto dal punto di vista dell’elevato ammontare della dote necessaria per compensare l’offerta di una sposa claudicante. Dopo un vivace avvio con un curioso défilé di ragazze da marito, messe letteralmente all’asta e quotate a seconda dei rispettivi pregi e difetti, il registro satirico si stempera nella toccante rappresentazione dell’aspetto soggettivo, per poi risorgere allorquando si passa all’episodio centrale, reso più gustoso e divertente dall’utilizzo dei pupazzi realizzati nei Delta Studios da Elisabetta Ferrandino. Abbinando a una notevole capacità di far presa sul pubblico anche quella di esperta animatrice, impegnata in dialoghi serrati a sette voci più quella narrante, Marta Cuscunà ha dunque lasciato il segno anche a Salerno, come testimoniato dai lunghi applausi entusiasti.