I Longobardi nella valle metelliana - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

I Longobardi nella valle metelliana

I Longobardi nella valle metelliana

Dal 640, il territorio di Cava, che in quell’epoca era solo un sito foraneo della città di Salerno, divenne feudo dei Longobardi di Benevento. Una volta trasferita la capitale del ducato da Benevento a Salerno, ad opera di Arechi II (758-787), i territori facenti capo alle predette città subirono una divisione amministrativa a decorrere dall’849, che condusse alla designazione del primo principe salernitano dotato di poteri autonomi, Siconolfo. Nel periodo in cui questi regnò, la conca metelliana fu popolata da folti gruppi familiari di stirpe longobarda, che vi si stanziarono per la fertilità dei terreni e la ricchezza di sorgenti. Proprio a quel frangente storico risale la definitiva agibilità del tracciato viario che dalla Porta Nucerina di Salerno si snodava in direzione di Nocera, attraversando gli abitati di Vietri, Vetranto, Castagneto, da cui ridiscendeva a valle, raggiungendo il centro urbano di Nocera. Tale percorso stradale prese il nome di via Nocerina oppure di via Caba, nel tratto in cui solcava la Valle Metelliana.

L’insediamento abitativo di Cava crebbe anche grazie alla migrazione di nuclei familiari nocerini ed al contemporaneo ritrarsi verso l’entroterra delle popolazioni costiere, spinte all’esodo sotto la minaccia dei Saraceni che arrivarono a cingere d’assedio Salerno tra l’871 e l’872.

Nel corso della dominazione longobarda invalse un sistema di vita autonomo, con la creazione di nuclei isolati autosufficienti, che assunsero la denominazione di “fundi” e di “curtes”. In base ai principi della cultura tribale longobarda ogni famiglia risiedeva nella propria casa a corte, cioè in abitazioni isolate, peraltro frequentemente menzionate nelle carte topografiche della Badia. Dunque, il persistere della tipologia dei casali sparsi a scapito del sorgere di un agglomerato abitativo compatto è da attribuire al predetto costume tribale. In epoca alto-medievale, e segnatamente in quella longobarda, sorsero due poli di potenziale sviluppo urbano: uno destinato alle attività militari, sulle colline orientali, l’altro a quelle religiose, sui rilievi montuosi occidentali; risultava, invece, ancora esiguamente urbanizzato il potenziale terzo polo, localizzato nel fondovalle, dove dovevano trovare collocazione sparute abitazioni nelle adiacenze della via Caba. L’insediamento dei Longobardi nella vallata cavese è provato da numerosi documenti facenti parte del Codex Diplomaticus cavensis, nel quale risultano nomi riportabili alla suddetta etnia germanica. Il riferimento non è solamente al campo dell’onomastica, bensì si estende anche a quello della toponomastica, che si rivela oltremodo interessante specie riguardo all’utilizzo di termini del lessico giuridico afferente al settore agricolo, adottati dai Longobardi, e mutati, poi, in toponimi: ad esempio, la parola “curtes”, di cui si servivano per indicare le ‘terre boschive’, delle quali solo una minima parte veniva messa a coltura, promossa, poi, a toponimo: si menzioni, in proposito, “Li Curti”, piccolo villaggio della cintura urbana cavese; oppure la voce sala ‘corte, edificio’, adoperata prima come toponimo, poi come edonimo, cioè quale denominazione di strada, attribuita ad un percorso viario cittadino, “via Sala”. La stessa voce si ritrova nel nome di un’altra località di area salernitana, Sala Consilina, come in quello di un noto rione collinare di Salerno, “Sala Abbagnano”. E’ interessante evidenziare, inoltre, il fatto che, in epoca longobarda, la comunità benedettina della Badia di Cava fu polo monastico di prestigio, unitamente a quella di San Vincenzo al Volturno: entrambe gravitarono intorno all’orbita del Monastero di Montecassino, fulcro culturale dell’intero Ducato beneventano. La cultura scritta, o meglio ancora la cultura dei Longobardi del sud, coincise, praticamente, con quella benedettina (o benedettino-cassinese). L’uso del volgare, sostiene Baldelli (in La letteratura dell’Italia mediana dalle Origini al XIII secolo, 1987), rappresentò per i monaci cassinesi, come per tutti i Longobardi del Ducato di Benevento un baluardo difensivo delle frontiere della latinità contro la pressione esercitata dalla cultura greco-bizantina proveniente dalla Basilicata e dalla Puglia e contro le frequenti incursioni arabe. Numerosa, infatti, è la serie di volgarismi in documenti latini risalenti ad un periodo compreso tra il 1065 ed il 1077, custoditi presso l’Abbazia di Cava e afferenti a varie aree della Campania: focacia ‘focaccia’, pendinum ‘pendio’, plescus ‘rupe’, sepalis ‘siepe’, tando ‘allora’.

Giuseppe Vitolo (Linguista)