I cieli azzurri di Hui He - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

I cieli azzurri di Hui He

I cieli azzurri di Hui He

 

Nell’Aida riciclata brilla il soprano cinese in coppia con il basso Claudio Sgura nel ruolo di Amonasro. I atto da dimenticare, prima parte del secondo da incorniciare. Comunicazione tra Daniel Oren e il coro interamente da rivedere

 

Di OLGA CHIEFFI

 Non è nuova la direzione artistica del nostro massimo a “steccare” sull’ultimo appuntamento in cartellone. Certo, l’Aida è uno di quei titoli riempi-teatro, ove la gente dopo il trionfo e il balletto può pure salutare e andare a casa. Invece, nell’Aida “riciclata” che consumerà la sua ultima replica proprio questa sera, alle ore 21, la punta massima di tensione si raggiunge nella prima parte del terzo atto, quando la schiava e il padre Amonasro s’incontrano e rinvangano la loro bella terra lontana. Abbiamo ascoltato l’Aida nel primo dei due cast proposti, con protagonista, il giovane soprano cinese Hui He, un’ Aida intensa ed emozionante che ha realmente il fascino vocale, la morbidezza, le ombre, insolitamente belle e seducenti, infatti, si sono rivelate le note basse, la presenza del personaggio, tanto più che la consueta tinta marrone sui suoi tratti orientali produceva un esotismo insolito, la quale non ha mancato, vocalmente e sul piano della recitazione, nessuna delle grandi occasioni, riuscendo in particolare nel grande dialogo con il padre Amonasro, l’eccellente baritono Claudio Sgura. Aida lotta invano contro il proprio fato, si dichiara pronta a morire fin dal primo atto, perché, a differenza di Leonora o Violetta, non nutre più speranza di felicità in terra; un amore insomma come ipnotico rifugio dall’impotenza, che è quanto di meno eroico possa darsi e che trova spazio soltanto nei cieli azzurri di una terra segreta, un Altrove di pura invenzione che somiglia a una Atlantide. I personaggi di Aida danno tutti una sensazione di immobilità pergamenata ma anche di disperata inerzia, con Radames, titolare di un doppio ruolo schizofrenico, l’uomo del potere e l’innamorato, che Oren ha affidato ad un Gustavo Porta già negativamente criticato nell’Andrea Chènier di maggio, la cui intera prestazione è stata inficiata da un’intonazione non sempre a fuoco e dalla tendenza a perdere corpo nel registro acuto, generando un’impressione di affaticamento con il progredire dell’azione. Momenti di inusitata penetrazione psicologica sono stati vissuti nella scena a due fra Amneris e Aida nella prima scena del secondo atto, con una Giovanna Casolla la cui grande esperienza nel corso dell’opera l’ha portata a dosare le forze e la voce negli assieme e sul registro medio-grave, che quasi non si è avvertito in sala, per sparare tutto nella grande scena del Giudizio. Se Angelo Nardinocchi si è accollato la parte del faraone che appartiene ad un basso, e abbiamo rivisto Francesco Pittari nel ruolo del Messaggero, due belle e giovani voci sono andate ad impreziosire i ruoli della gran Sacerdotessa, che canta fuori scena sostenuta solo dal coro, una Nunzia De Falco, di scuola salernitana, che ha esordito nel coro del Verdi e che vi ritorna, finalmente, con una cameo, ma di raffinatissima fattura come la sua voce e Ramfis, un Romano Dal Zovo, ancora acerbo per una parte cui ha offerto, però, una luce nuova chiara e piena e che risentiremo sicuramente tra qualche anno. Daniel Oren ha inseguito fino al trionfo la sua personale idea di Aida, creando una gran confusione di comunicazione tra buca, palcoscenico e quinte. Il coro nei primi due atti ha sempre attaccato un tempo diverso, più lento da quello cercato da Oren e per di più con intonazione ondivaga, spesso calante. I settori si sono amalgamati nel terzo e quarto atto, ove a farla da padrona sono i sempre affidabili legni tra cui si segnala il ritorno di Domenico Sarcina al leggio del primo oboe. I tableaux schizzati da Riccardo Canessa, il quale ha dosato sapientemente nuove luci per questa Aida, che ha riciclato scene e costumi di quella del 2012, stupiscono per la proporzione geometrica sempre giocata su una sezione piena opposta a una vuota, con l’effetto registico più gradevole che è quello del finale con Amneris che sta sopra la tomba di Radames e Aida, preparandosi ad un lutto perenne, alla sua morte spirituale. Su di un palco così piccolo il flop per le coreografie per le danze del trionfo sono sempre dietro l’angolo. Pina Testa ha puntato sui migliori elementi della sua scuola dai moretti della pre-danza in escalation sino ai corsi superiori con il trionfo di Giuseppe Picone (c’è chi è venuto in teatro solo per lui!) che ha danzato con Martina Libro. Applausi e rose per tutti e appuntamento al doppio concerto di Capodanno, ove tutto è ammesso. Dirige Francesco Rosa.