Giovanni Vece: un pianoforte “d’autore” - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Giovanni Vece: un pianoforte “d’autore”

Giovanni Vece: un pianoforte “d’autore”

Dopo l’eccellente performance del trombettista Andrea Tofanelli, il quale con il suo trio ha veramente lasciato un segno indelebile in questa particolare estate cilentana, sarà il pianista Giovanni Vece a firmare il penultimo appuntamento della VI edizione della rassegna “Momenti d’autore”, organizzata dall’Associazione Culturale “…Se tanto mi dà tanto…”, presieduta dall’avvocato e trombettista Michele Toriello e realizzata con il contributo della regione Campania e dell’ Ente provinciale per il turismo di Salerno. Domani sera, alle ore 21, tra i merli del Castello di Castellabate, i riflettori si accenderanno su di un gran coda, al quale si assiderà Giovanni Vece, frutto del magistero tutto salernitano di Giovanni Carlo Cuciniello. Un allievo di Ludwig Van Beethoven racconta che un pomeriggio del 1804 il Maestro era rientrato dalla solita passeggiata nei pressi di Döbling canticchiando e borbottando qualcosa d’indecifrabile, una sorta di ribollio continuo e sommesso; giunto in casa, senza togliersi nemmeno il cappello, Beethoven si era diretto al pianoforte, sul quale era restato curvo un paio d’ore a cercare sui tasti l’idea di quel mormorio inarticolato: e quando, alzatosi, aveva sorpreso l’allievo seduto in un angolo, lo aveva spedito a casa senza tante scuse: “Oggi non c’è lezione, ho ancora molto da lavorare!”. Stava nascendo la Sonata per pianoforte op. 57 in fa minore “Appassionata”, con cui Giovanni Vece si presenterà all’eterogeneo pubblico di “Momenti d’Autore”. Qui Beethoven si abbandona completamente, la tempesta spazza incessantemente la pianura, è come una Fantasia, in cui tutte le forze si scatenano. Solo l’ascoltatore cosciente e riflessivo avverte anche qui la mano dominatrice, che si impone sull’infuriare selvaggio dei passaggi e sull’ampio arco delle melodie. In entrambi i movimenti estremi, tutti i temi sono in minore, con la sola eccezione di quel tema secondario del primo tempo sviluppato dal tema principale. Dopo questa ossessione del tono minore, giunge splendida la solenne quiete del movimento centrale, le cui Variazioni dimostrano quanto possa essere ispirata una pura figurazione. Ma la maggiore meraviglia dell’opera è sempre l’Andante con moto in re bemolle, variazioni su un tema che non ebbe altri esemplari della sua specie, né prima né dopo, una creazione che, nonostante la sua efficacia spirituale, sgorga incomparabilmente e il cui segreto consiste nell’incredibile maestria con cui, dagli elementi primordiali dell’armonia, si sviluppa una vera “Forma”, la cui maestà si impone anche su tutte le sfuriate demoniache dei due tempi estremi. Il solista ha scelto, quindi, di eseguire lo Scherzo n° 2 op.31 in Si bemolle minore, di Fryderyk Chopin, sicuramente il più popolare, assai articolato e complesso nell’architettura e nell’armonia, con una ampia gamma di intonazioni, e caratteri espressivi che vi si susseguono senza soluzione di continuità. Gran finale con la Sonata n. 3 in la minore, composta da Sergej Prokofiev nella primavera del 1917 e pubblicata da Gutheil a Parigi nel 1918 come op. 28, che reca il sottotitolo “D’après des vieux cahiers” (“da vecchi quaderni”), poiché rielabora un tentativo di Sonata risalente agli anni del Conservatorio, e in particolare al 1907. Sicuramente meno modernista e trasgressiva rispetto ad altre opere che l’avevano preceduta, se non è dunque particolarmente «innovativa» questa Sonata presenta tutte e tre le altre «linee fondamentali» che Prokofiev riconosceva nella propria musica: quella «lirica», quella «classica» e quella «motoria». Articolata in un unico movimento, la Sonata in la minore si apre con slancio, come se una porta si spalancasse all’improvviso, su degli accordi di mi maggiore (Allegro tempestoso) che introducono un’idea agitata e nervosa; il fibrillante dinamismo di questo esordio si placa solo per lasciar posto al secondo tema (Moderato), una melodia ingenua e delicata in pianissimo, che rappresenta per contrasto quasi una visione di sogno. Anche lo sviluppo, aperto bruscamente da un’idea per moto contrario all’insegna di un meccanicismo percussivo, è caratterizzato dal dualismo fra tensione e lirismo. Splendida è la comparsa della ripresa, con il ritorno della ritmica agitazione molecolare dell’inizio che prende gradualmente forma dall’indistinto pulviscolo sonoro che emerge dallo spegnersi dell’eco di un lungo accordo dissonante, per poi agitarsi fino a una coda (Poco più mosso) la cui bruciante lucentezza sembra quasi sprigionarsi dal contatto fra le mani del pianista e una tastiera elettrificata, attraversata dall’alta tensione.

Olga Chieffi