Enrico Dindo la scuola italiana del violoncello - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Enrico Dindo la scuola italiana del violoncello

Enrico Dindo la scuola italiana del violoncello

 

Questa sera, alle ore 21, i riflettori del teatro Verdi si accenderanno sul violoncellista torinese in duo con la pianista Monica Cattarossi

 

Di OLGA CHIEFFI

 

Il novembre concertistico del massimo cittadino sarà segnato dal rècital che questa sera, alle ore 21, offrirà al pubblico salernitano, il violoncellista Enrico Dindo, che si presenterà in duo con la pianista Monica Cattarossi. Il programma, lo stesso presentato il 12 agosto al Ravello Festival, verrà inaugurato dalla trascrizione dell’Adagio e Allegro in La bemolle maggiore per corno e pianoforte,op.70 di Robert Schumann. L’adattabilità a vari strumenti accompagna questa pagina, scritta due giorni dopo i 3 Phantasiestücke, il 14 febbraio, e completato nella giornata del 17. Questo brano, infatti, si ascolta spesso con altri strumenti solisti (soprattutto oboe, violino e violoncello) fin da quando Clara Schumann, il 26 gennaio del 1850 a Dresda, ne diede la prima esecuzione pubblica insieme al violinista Franz Schubert (un curioso caso di omonimia con il grande compositore viennese, morto da ventidue anni). L’uso del violoncello risulta particolarmente felice nell’Adagio, che porta l’indicazione «Langsam, mit innigem Ausdruck» (Lento con intima espressività). È stato giustamente osservato che l’ampiezza e l’eloquenza della melodia di quest’Adagio ricorda l’enorme campata cantabile dell’Adagio sostenuto della Seconda Sinfonia, cioè uno dei vertici, prima del Tristano, della funzione melodica nella musica romantica. Anche nel tempo rapido il violoncello sembra molto ben esprimere almeno due delle tre qualità che Clara indicava in questa Sonata, secondo lei “superba, fresca, appassionata”; tanto più che nell’Allegro («Rasch und feurig», rapido e con fuoco) si apre improvvisamente uno spazio cantabile in un Intermezzo che si ricollega alla grande melodia dell’Adagio. Seguirà ancora una trascrizione, stavolta dei Phantasiestucke op.73, per pianoforte e clarinetto, un tema caro al maestro tedesco, che nasce da un forte impulso immaginativo e si valorizza poeticamente in un’affermazione di libertà inventiva. Ed è singolare constatare, a tale proposito, che il primitivo titolo di questi tre pezzi così intimamente collegati da risultare ineseguibili separatamente, fosse “Soirée-stucke”, titolo più notturno ed enigmatico che salottiero. Scritte e pubblicate, nel 1849, le tre pagine hanno struttura formale simile, ternaria, con ripresa e, nel secondo e terzo pezzo, coda. Ma questa impostazione accademica ha il pregio di attenuarsi nell’invenzione di ritornelli interni e nel fiorire di incisi e di motivi derivati tra “Zart und mit Ausdruck” (“Delicato e con espressione”), “Lebhaft, leicht” (“Animato, leggero”), “Rasch und mit Feuer” (“Rapido e con fuoco”). L’omaggio a Schumann si chiuderà con i “Funf Stucke im Volkston op.102, composti da Robert Schumann nel 1849 per la formazione di violoncello e pianoforte. Il “tono popolare” espresso nel titolo non attinge peraltro al patrimonio musicale tradizionale, non intende nobilitare un materiale di facile consumo, piuttosto si riferisce all’intento di una libera narratività, che i 5 quadri rappresentano in forma di polittico. Il primo pezzo “Mit Humor”, all’insegna del motto di origine biblica “Vanitas vanitatum” (“Vanità delle vanità”), si svolge tra la seriosità ironica e la scanzonata brillantezza, cui segue il lirismo raccolto del secondo “Langsam” (“Adagio”). Percorso da una vena fantastica, sognante, è il terzo pezzo “Nicht schnell, mit viel Ton zu spielen” (“Non svelto, con un tono molto recitante”). Il quarto è un “Nicht zu rasch” (“Non troppo veloce”), che apre una parte centrale di tenera cantabilità; il quinto, “Stark und markirt” (“Vigoroso e marcato”), conclude con impeto. La serata continuerà con l’esecuzione della Sonata n°1 di Claude Debussy L144. Il Prologo si distingue per vivacità di tono e una certa ironia timbrica, espressa soprattutto dal violoncello, la cui scrittura non è priva di puntate virtuosistiche. Nella Serenata sono accentuati maggiormente i tratti umoristici, burleschi e fantastici della composizione; dal violoncello si sprigionano effetti sonori piacevoli e brillanti. Il Finale è contrassegnato da uno slancio ritmico gioioso e inarrestabile, in un solo momento interrotto da un episodio indicato sulla partitura con queste parole: «Molto rubato e con morbidezza », come una eco delle antiche volatine clavicembalistiche, tanto amate dall’ultimo Debussy. Il rècital verrà sigillato dalla Sonata di Frank Bridge in Re Minore realizzata tra il 1913 e il 1917, che mantiene una temperatura emotiva elevata strizzando inopinatamente l’occhio a Rachmaninov soprattutto nel primo movimento, per giungere al tormentato finale in cui la tipica forma ciclica si impenna in un ruvido bitonalismo.