Dialoghi in Trio tra violoncello, clarinetto e pianoforte - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Dialoghi in Trio tra violoncello, clarinetto e pianoforte

Dialoghi in Trio tra violoncello, clarinetto e pianoforte

Questa sera, nella Sala San Tommaso del Duomo di Salerno, alle ore 20, Francesca Taviani, Gaetano Falzarano e Rossella Giordano, saranno ospiti della terza edizione i “Concerti in Luci d’Artista”

Di OLGA CHIEFFI

L’incantesimo della Musica si realizzerà questa sera, la notte dell’Epifania, a partire dalle ore 20, nella Sala San Tommaso del Duomo, con un trio composto da Francesca Taviani al cello, Gaetano Falzarano al clarinetto e Rossella Giordano al pianoforte, che proporrà rarità quali il Duo di Ludwig Van Beethoven per clarinetto e cello Wo27 n°3, il trio di Johannes Brahms op.114 e il trio di Nino Rota, protagonisti del quinto appuntamento della terza edizione i “Concerti in Luci d’Artista”, la sezione invernale dei “Concerti d’estate di Villa Guariglia in tour” organizzata dal Cta di Salerno in collaborazione con l’Associazione “Amici dei Concerti di Villa Guariglia”, il Conservatorio di Musica “Giuseppe Martucci” di Salerno ed il contributo e patrocinio del Comune di Salerno. La serata principierà con il Duo di Ludwig Van Beethoven per clarinetto e cello in Si Bemolle, Wo27 n°3, pubblicato intorno al 1815. Insieme con il Duetto per due flauti e l’ Allegro per viola e violoncello, questi Duetto fa parte del complesso delle composizioni per due strumenti, senza partecipazione di pianoforte, lasciateci da Beethoven: piccole opere senza dubbio, che però, nonostante l’origine occasionale (spesso anche in funzione della particolare valentia di qualche singolo virtuoso) e pur uniformandosi d’altra parte alla pratica di modelli precedenti, vivono una loro propria vita, per quanto nell’ambito di una esperienza artistica giovanile. Seguirà l’esecuzione del Trio in La minore composto da Johannes Brahms op.114, datato 1891, un omaggio al clarinettista Richard Muhefeld. Il Trio in la minore op. 114 rivela, oltre al temperamento schiettamente romantico dell’autore. La pagina si distingue per la sua libertà formale e, ancor più, per il suo peculiare “colore”, dovuto al timbro caldo e vellutato del clarinetto, impiegato con felice idiomaticità, e del cello, una “tinta” sostanzialmente autunnale e vespertina, ulteriormente evidenziata da un’invenzione melodica introversa e malinconica. Ciò è evidente sin dall’Allegro iniziale, armonicamente vivace e caratterizzato da una spigliata ritmicità, qua e là stemperata in alcuni passaggi cantabili del clarinetto. L’Adagio è intriso di intimismo tipicamente brahmsiano e di soffusa malinconia, ubbidiente ad una linea melodica di assorta e pensosa riflessione sulla caducità della vita. Di tono più delicato e pastoso nell’amalgama dei timbri fra i tre strumenti («E’ come se essi facessero all’amore fra di loro» scrisse il critico e compositore austriaco Eusebius Mandyczewski a Brahms) è l’Andantino grazioso, mentre l’Allegro conclusivo, disegnato con freschezza ed eleganza di immagini, mostra una esplicita naturalezza di espressioni, dai colori morbidi come di una tela dipinta ad acquarello, e senza alcuna ricerca virtuosistica fine a se stessa. Qualche parola in più si deve spendere, invece, per il terzo ed ultimo Trio, quello di Nino Rota, un autore di cui molto si sa e si apprezza, per quanto riguarda la sua produzione di musiche per il cinema (in particolare le colonne sonore per i film di Fellini e quella per “Il Padrino” di Coppola) e poco o nulla, purtroppo, di ciò che si scrisse nell’ambito della musica sinfonica, da camera e strumentale. Questo Trio, purtroppo ancora poco eseguito nelle sale da concerto, è uno splendido esempio della felice vena compositiva di Rota, ricca di invenzioni ritmiche e melodiche, mai banale, ma semmai capace di coinvolgere l’ascoltatore in uno scambio di emozioni intimo e serrato. Un brano, datato 1973, i cui tre movimenti che si articolano in Allegro-Andante-Allegrissimo, sono caratterizzati da una vivace atmosfera che vivifica scherzosamente gli scambi strumentali di una pagina squisita, in cui troviamo il Rota più intimo e spontaneo, costantemente teso tra eleganza, sommessa malinconia e sorridente cordialità, tale da costituire il ritratto più rispondente ed efficace di una personalità apparentemente sfuggente. Una sintesi stilistica quest’opera, attuata in maniera sistematica che va dallo stile neoclassico sino all’uso di un linguaggio armonico, talvolta anche fortemente cromatico, pur sempre sostenuto dalla rotiana vena melodica, spontanea e quasi lirica con cedimenti al modernismo propri degli ultimi lavori, proprio del finale.