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Decadenza, chiamata per i consiglieri ma c’è chi dice no

di Andrea Pellegrino
L’aria di attesa a Palazzo di Città ormai è una costante che accompagna le giornate degli amministratori comunali. Fino all’8 maggio il clima non dovrebbe mutare: s’attende la sentenza della Corte d’appello sull’incompatibilità del sindaco De Luca, già sancita in primo grado sul ricorso presentato dai parlamentari grillini salernitani. Se dovesse essere confermata, De Luca decadrebbe nel giorno del suo compleanno (8 maggio appunto) ma, legalmente a partire dal giuramento come sottosegretario del Governo Letta. Tecnicamente, per il primo cittadino decaduto, ci sarebbe la possibilità della ricandidatura a sindaco. Il giuramento, infatti, è antecedente ai due anni e mezzo di seconda consiliatura. Ma fino ad allora si tenta ogni strada per evitare il peggio, soprattutto dopo lo smacco di Renzi che l’avrebbe portato fuori dal suo Governo, benché il suo nome fosse già scritto sull’elenco dei viceministri. Ma il ricorso a sostegno delle posizioni di Vincenzo De Luca che starebbe predisponendo Angelo Caramanno, pare non convinca poi tutti i consiglieri comunali. In molti, infatti, pare abbiano disertato più volte l’invito diretto del sindaco a sottoscrivere il ricorso contro la decisione assunta dai giudici in primo grado. Tra l’altro, pare che si stia valutando anche l’ipotesi di eccepire la costituzionalità della norma che prevede l’incompatibilità tra carica di sindaco e quella di membro del Governo. Ma quest’ultima strada sembrerebbe quella più complicata. Non fosse altro che alle spalle ci sono numerosi precedenti. Compresi quelli di Delrio e Zanonato, ministri e sindaci “decaduti” del Governo Letta. Ma ancora a Firenze lo stesso Renzi ha utilizzato il medesimo metodo. Infine, si racconta che se De Luca avesse ottenuto l’incarico di viceministro allo Sviluppo Economico si sarebbe dimesso da primo cittadino, quasi in contemporanea. Infatti mentre lui era in viaggio per Roma, qualcun altro era già sulle scale della Prefettura per consegnare l’atto. Poi la famosa telefonata che avrebbe imposto il dietrofront ad entrambi.