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Crac e reati tributari: sequestro da 3 milioni di euro

Beni per milioni di euro – secondo la pubblica accusa -sarebbero stati accumulati tramite il fallimento della sua azienda di cui era amministratore delegato e con reati di natura fiscale. Per questo motivo erano stati sequestrati quote societarie, case e denaro per oltre 3 milioni di euro a un imprenditore di 64 anni di Pagani, Il Gip e il Riesame prima e la Cassazione dopo hanno confermato i sigilli al patrimonio compreso quello intestato ai familiari. L’imprenditore si era opposto alla decisione del Tribunale di Nocera Inferiore che aveva respinto la richiesta di dissequestro del conto corrente intestato alla società (della quale era responsabile all’epoca dei fatti) e dei conti correnti e buoni postali cointestati a lui e alla moglie, quantomeno della quota di spettanza della consorte, sottoposti a sequestro preventivo in esecuzione del decreto firmato dal gip di Nocera Inferiore e disposto in relazione alla ritenuta sussistenza indiziaria di vari reati di bancarotta fraudolenta e tributari. Il Tribunale di Nocera Inferiore aveva ordinato il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, della somma di oltre 3 milioni di euro costituente profitto dei reati di bancarotta fraudolenta e di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte reati che sarebbero stati commessi in concorso con altre persone. Con istanza il difensore aveva chiesto il dissequestro del conto corrente, e delle somme giacenti, intestate alla società che si occupava di consulenza della quale lo stesso imprenditore paganese era stato precedente amministratore, nonché dei conti correnti cointestati con la moglie quantomeno per la quota del 50% spettante alla donna. Il gip aveva rigettato l’istanza in applicazione del principio solidaristico per effetto del quale l’uomo non aveva documentato la fonte di derivazione del denaro chiesto in restituzione. I giudici del Palazzaccio capitolino aggiungono. “1lTribunale di Salerno ha dichiarato inammissibile l’appello per mancanza di legittimazione dell’imprenditore (che non poteva chiedere in restituzione beni non di sua appartenenza e la mancanza di interesse (non essendo stata fornita la prova dell’esecuzione del sequestro sui beni chiesti in restituzione, risultando anzi il contrario. Tanto premesso, quanto al conto corrente della società, il 64enne non ne è più il legale rappresentante. Quale sia il suo interesse diretto all’accoglimento del ricorso non lo spiega”, motiva la Cassazione confermando quanto già deciso dal tribunale di Salerno cui il 64enne aveva fatto appello dopo il ricorso respinto dal giudice di Nocera Inferiore.