Caso Penna, una giustizia di riserva - Le Cronache
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Caso Penna, una giustizia di riserva

Caso Penna, una giustizia di riserva

di   Michelangelo Russo

La vicenda del collega Roberto Penna, alla ribalta mediatica in queste ore, è un argomento difficile da trattare in sede di commento. Perché la cronaca sono i fatti come emergono da carte scritte, i commenti sono pareri e giudizi. Le sentenze si poggiano sui fatti, come sappiamo. Ma i giudizi finali spettano alla cultura e sapienza dei magistrati. Che faranno sentenze tanto più giuste quanto più umane possibile. E’ il loro ruolo, altrimenti le sentenze potrebbero farle benissimo, già da adesso, i computerini da scrivania da pochi euro, che sanno fare l’addizione matematica dei fatti e sputano la sentenzuccia. A Penna dico quindi di stare sereno, ed affrontare un momento di apparente difficoltà con la pazienza di cui i decenni di professione lo hanno di certo dotato.

Adesso, però, veniamo al punto di tutta questa storia che veramente interessa profili più ampi e coinvolge riflessioni meno banali della mera curiosità per il fatto di cronaca.

Diciamo subito: uno dei punti fondamentali dell’inchiesta napoletana sembrerebbe la vicenda del ripascimento della spiaggia tra Pastena e Mercatello. Ripascimento curato, a seguito di gara pubblica, da un noto consorzio di imprese di primaria importanza.

Mi sembra palese che l’inchiesta di Penna è nata da articoli pubblicati su questo giornale, a fine febbraio, con firma del sottoscritto. In quegli articoli segnalavo la mia sorpresa nel constatare che la sabbia del ripascimento era di provenienza non marina, ma terrestre, perché sabbia ricavata da cave estrattive. Negli articoli citavo il contenuto dei Protocolli d’intesa, datati novembre 2016, tra Ministro dell’ambiente e Regioni, sulle metodologie da seguire per il ripascimento. Nello specifico, il Minambiente insisteva sul rispetto della similitudine delle nuove sabbie con la granulometria preesistente, e soprattutto con la compatibilità cromatica del nuovo con il vecchio. Chi scrive raccolse campioni della sabbia nera preesistente, finissima e compatta, e campioni della brecciolina chiara di cui pare adesso fatta la spiaggia. Le foto furono pubblicate con gli interrogativi. Va detto anche che sul primo lotto vi fu il ricorso al Tar di un concorrente escluso, che denunciava proprio il mancato uso della sabbia marina. Ma il Tar disse che il capitolato d’appalto ammetteva l’uso di sabbie terrestri da cave, e respinse il ricorso. Nella sentenza del Tar non si accenna tuttavia, che io sappia, ai protocolli del Minambiente, per cui, al momento, sulla valenza di questi protocolli non si è formata ancora realtà processuale acclarata. Orbene, questi gli antefatti su cui poi Penna ha aperto l’inchiesta. Ora, voglio ricordare una frase di Bertolt Brecht: “beato quel paese che non ha bisogno di eroi!”. Cioè beato quel paese che sa far valere la giustizia e la libertà senza spettare passivamente che i cirenei di turno, cioè quei fessi degli eroi che si sacrificano per il bene di tutti (che coraggiosamente si fanno i cavoli loro soltanto), facciano trionfare le ragioni della giustizia e del diritto.

Adattiamo la frase al caso nostro! Beati quei distretti giudiziari che non hanno bisogno dei giornali per iniziare i processi su quello che tutti possono vedere e intuire.

Questo giornale ha scritto su altre vicende importanti da chiarire: sui progetti di bucare mezza costiera malfitana (patrimonio dell’umanità) per velocizzare di pochi secondi un percorso naturalmente lento per il contesto ambientale e storico.

Questo giornale ha scritto sulla proliferazione di interventi edilizi impattanti alle porte di Salerno.
C’è da dire che Penna, almeno, un’inchiesta l’ha avviata.

Forse, un’attenzione non dico giudiziaria, ma di tutto l’apparato politico amministrativo di sorveglianza, che bruciasse sul tempo le capacità investigative di questo giornale (che dovrebbe arrivare secondo, e non primo, in campo di sorveglianza del rispetto della legalità e trasparenza) restituirebbe non poca credibilità a queste povere istituzioni pubbliche squassate dai dubbi montanti sull’adeguatezza al ruolo della funzione giudiziaria.