Avv Trentini: “Beni dello Stato da sottrarre al degrado” - Le Cronache
Ultimora

Avv Trentini: “Beni dello Stato da sottrarre al degrado”

Avv Trentini: “Beni dello Stato da sottrarre al degrado”

di Pina Ferro

«L’eccezionalità della situazione economica dell’epoca in cui stiamo vivendo e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di contenimento della spesa pubblica, non ci si può disinteressare della redditività del patrimonio pubblico, sia con riferimento alle misure di valorizzazione o dismissione degli immobili pubblici, che per quanto riguarda la razionalizzazione delle concessioni demaniali, che ad oggi hanno visto per lo più proroghe di durata». A sostenerlo è Antonella Trentini presidente, appena rieletta all’unanimità, dell’ Unaep (Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici). La riconferma è avvenuta venerdì scorso nel corso dei lavori dell’assemblea svoltisi a Salerno. Lavori che si sono conclusi con un convegno, tenuto nella giornata di ieri, incentrato sulle concessioni demaniali. Un momento di studio ed approfondimento, quello voluto dall’Unaep, per fare il punto su uno dei temi più dibattuti e controversi attualmente presenti sul tavolo sociale, normativo e giurisprudenziale: le concessioni demaniali. «Si tratta cioè di beni di proprietà dello Stato è di altri enti pubblici, non utilizzati per usi istituzionali che possono dunque essere avviati ad una valorizzazione economica, sociale, culturale, turistica, assicurandone tuttavia la fruizione pubblica, sottraendoli al degrado e aprendoli al pubblico. – ha spiegato Antonella Trentini – Fra questi sicuramente stanno facendo molto discutere i beni del demanio marittimo, destinati ad pubblico utilizzo, motivo per il quale l’art. 823 c.c. prevede che essi non possano essere oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano». Nel corso del dibattito si sono confrontati magistrati, accademici, avvocati e parti sociali proprio per fare luce sugli approdi cui si è pervenuti dopo la famosa direttiva Bolkestein. «Secondo quanto emerge dall’ultimo Rapporto sugli immobili pubblici pubblicato dal MEF (anno 2018), le amministrazioni locali detengono la maggior parte del patrimonio immobiliare censito, circa 806 mila fabbricati e 1 milione e 400 mila terreni, cui si aggiungono i litorali. – Aggiunge il presidente Trentini – Lo strumento principe per attribuire l’uso esclusivo di un bene ad un privato è rappresentato dal provvedimento di concessione, che può qualificarsi come Un “accordo amministrativo” ex articolo 11 legge 241/90 mediante il quale una pubblica amministrazione ed un privato concordano il contenuto del provvedimento riguardante gli aspetti economici, tramite il quale al privato viene trasferito l’uso del bene, dei poteri autoritativi e, al contempo, viene specificata la destinazione economica del bene.Nel caso di concessioni e di appalti finalizzati all’erogazione di lavori o servizi la pubblica amministrazione attribuisce diritti e poteri al privato esercitando una ampia discrezionalità tecnica ed amministrativa attraverso la procedura enucleata dal codice dei contratti pubblici.Quanto allo specifico tema delle concessioni demaniali marittime vi è un vivo dibattito giurisprudenziale in ragione dei plurimi interventi legislativi finalizzati a prorogare le concessioni già in vigore nel nostro paese. Prima del recepimento della direttiva CE numero123/2006 (più nota come direttiva Bolkestein), la concessione di beni pubblici avveniva attraverso un provvedimento cosiddetto “fiduciario” con il quale la pubblica amministrazione attribuiva il diritto di gestione al privato senza lo svolgimento di un procedimento di evidenza pubblica a monte. Inoltre, veniva assicurato al privato un diritto di insistenza che consisteva in un diritto di prelazione sul bene nel caso di nuova scelta del concessionario alla scadenza del contratto. La direttiva Bolkestein l’Unione Europea ha sancito la necessità di procedure idonee per l’attribuzione di beni ai privati in piena conformità ai principi di libertà di stabilimento e di concorrenza ex articolo 1 direttiva CE numero 123/2006 e articolo 49 TFUE. Più nello specifico l’articolo 12 della direttiva prevede che qualora il numero di autorizzazioni sia limitato in ragione della scarsa quantità delle risorse naturali, gli Stati membri applicano una procedura di selezione per la selezione dei candidati potenziali che sia munita dei caratteri di piena pubblicità, trasparenza e non discriminazione. L’art. 12 della direttiva del 2006 ha comportato la riforma dell’articolo 37 del codice della navigazione che assicurava il diritto di preferenza al precedente concessionario in caso di rinnovo, oltre ad aver imposto alle pubbliche amministrazioni l’espletamento di seri provvedimenti di selezione del concessionario. Tuttavia, già dal 2009 il governo aveva disposto una serie di proroghe delle concessioni già in vigore, prima dal 2009 sino al 2015, poi sino al 2020 e, da ultimo, sino al 31.12.2033. Da qui quanto detto: la questione delle proroghe delle concessioni demaniali marittime ha destato un vivo dibattito giurisprudenziale, dottrinale e sociale, in ordine alla compatibilità con i principi del libero stabilimento e della piena concorrenza ex art. 49 TFUE e articoli 1 e 12 della direttiva CE numero 123 del 2006. Più nello specifico la giurisprudenza si era posta il problema se la pubblica amministrazione possa disapplicare la norma interna; se sia direttamente applicabile la direttiva Bolkestein; cosa succede ai rapporti pendenti e quali siano le conseguenze per i privati. La giustizia amministrativa (Adunanza Plenaria 2021) ha sancito che le norme che hanno disposto la proroga automatica delle concessioni sono soggette a disapplicazione, anche da parte delle pubbliche amministrazioni, poiché in contrasto con gli articoli 49, 101 TFUE e con l’articoli 12 della direttiva Bolkestein. Ha altresì stabilito che la scadenza delle proroghe debba essere fissata al 31.12.2023 al fine di porre un pronto adeguamento al diritto europeo entro un termine proporzionale all’espletamento di nuove gare. In ogni caso, al precedente concessionario spetta un indennizzo per lesione dell’affidamento e per le opere nel frattempo costruite sul bene demaniale. Entrando nel merito della pronuncia, la Plenaria ha spiegato che la proroga automatica e generalizzata delle concessioni demaniali marittime effettuata con la legge del 2020 mina irrimediabilmente la libertà di stabilimento e la libera circolazione di servizi, con conseguente danno al mercato, tutelate dagli artt. 49, 56 TFUE. A tal proposito il Consiglio di Stato ha precisato che i beni del demanio siano ontologicamente collegati ad un interesse transfrontaliero per la loro conformazione, ubicazione e vocazione turistica anche alla luce del fatto che il patrimonio costiero italiano risulta essere uno dei beni naturalistici più attrattivi del mondo. Quindi secondo il massimo organo di giustizia amministrativa non vi sono dubbi che l’art. 12 della direttiva Bolkestein, nonostante usi il termine “autorizzazione” si riferisca, invece, a qualsiasi atto amministrativo che attribuisca un vantaggio patrimoniale al privato con ciò ricomprendendo al suo interno anche le concessioni di beni. Viene altresì sottolineato che l’art. 12 della direttiva trova applicazione per le concessioni marittime in quanto il concetto di “scarsità naturale delle risorse” debba essere inteso in senso relativo, sia a livello qualitativo che quantitativo, poiché i dati del Ministero delle Infrastrutture evidenziano come sia potenzialmente limitato l’ingresso di nuovi operatori economici nella gestione dei beni per via della scarsità delle spiagge rispetto a quelle oggetto di proroghe. Ancora si specifica che l’articolo 12 della direttiva 123 del 2006 ha efficacia diretta nel nostro ordinamento in quanto “self-executing” proprio in ragione della disciplina di dettaglio che, in definitiva, non lascia margini di manovra agli Stati membri che sono, di conseguenza, obbligati all’espletamento di procedure di evidenza pubblica trasparenti, non discriminatorie e pubbliche. Proprio alla luce delle considerazioni sopra esposte l’Adunanza Plenaria ritiene di non essere obbligata a sollevare la questione innanzi alla Corte di Giustizia poiché la conseguenza logica della diretta efficacia della direttiva del 2006 è la disapplicazione della normativa interna sia per il giudice che per la pubblica amministrazione. Da qui l’invito del Consiglio di Stato a che le pubbliche amministrazioni indicano nuove gare per la concessione di beni demaniali sancendo, altresì, dei principi che queste possono seguire nel loro espletamento». Ha concluso il presidente Trentini È di pochi giorni fa l’atto di segnalazione dell’ANAC con cui l’Autorita chiede di assicurare il coordinamento con il codice degli appalti alle ipotesi di contratti (in specie di quelli misti) con il codice degli appalti. Insomma gatte da pelare a non finire. Soprattutto nel contesto politico in cui ci troviamo, ove il nuovo governo si insedierà tra qualche settimana.