Aliberti “prelevato” a casa di un amico a Pagani - Le Cronache
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Aliberti “prelevato” a casa di un amico a Pagani

Aliberti “prelevato” a casa di un amico a Pagani

Pina Ferro

Ha trascorso la notte a casa di un amico a Pagani ed è stato lì che gli uomini della Direzione investigativa antimafia lo hanno rintracciato. Probabilmente Pasquale Aliberti per stemperare la tensione della lunga notte di attesa ha preferito non restare nella sua abitazione di Scafati. E, quando è stato informato dell’esito negativo del ricorso presentato in Cassazione, avverso all’ordine di custodia cautelare, stava cercando di fare il punto della situazione e valutare insieme all’amico Franco Marrazzo che lo aveva ospitato e ai legali la strategia da seguire, ovvero dove costituirsi. Erano da poco trascorso le 8 di ieri quando, gli uomini della Dia, hanno bussato alla porta di Marrazzo a Pagani per eseguire il provvedimento di custodia cautelare in carcere emesso dal Tribunale del Riesame di Salerno. Provvedimento eseguito a seguito del pronunciamento dei giudici della Cassazione che hanno rigettato il ricorso presentato dai legali dell’ex sindaco e di Luigi e Gennaro Ridosso, entrambi pregiudicati per associazione di tipo mafioso, omicidio, estorsione e reati in materia di armi, attualmente detenuti, ed elementi di vertice dell’omonimo clan di camorra operante a Scafati e comuni limitrofi. Quando gli uomini del colonnello Pini non hanno trovato Aliberti a casa hanno impiegato davvero pochi minuti a rintracciarlo e raggiungerlo. Pasquale Aliberti, Gennaro e Luigi Ridosso sono ritenuti gravemente indiziati di scambio elettorale politico-mafioso, in relazione alle consultazioni elettorali del 2013 per il rinnovo del Consiglio Comunale di Scafati. L’ordinanza eseguita ieri mattina scaturisce da una complessa attività investigativa condotta dalla Sezione operativa della Dia di Salerno (operazione “Sarastra”), diretta e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia della locale. L’indagine Sarastra è stata avviata a seguito di un attentato dinamitardo registratosi, nell’ottobre del 2014, ai danni di un componente di minoranza del Consiglio comunale di Scafati. L’atto intimidatorio in questione, fu ritenuto, sin da subito, collegato alla significativa opposizione che il Consigliere, comunale destinatario dell’intimidazione, aveva più volte manifestato, contro alcuni appalti e affidamenti di servizi, per la realizzazione di opere pubbliche, conferiti dall’Amministrazione comunale. Le relative indagini hanno consentito di raccogliere elementi utili all’emissione, nel 2015, di un decreto di perquisizione (esteso anche agli uffici del Comune di Scafati) e contestuale sequestro di documentazione nei confronti di 5 indagati (tra i quali anche Pasquale Aliberti – sindaco pro tempore di quel Comune e la moglie Monica Paolino, attuale Consigliere regionale), ritenuti a vario titolo responsabili di associazione di tipo mafioso finalizzata allo scambio elettorale politico-mafioso, abuso d’ufficio, concussione e corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, tutto in relazione alla gestione di numerose gare di appalto per la realizzazione di opere pubbliche (tra le quali, quella per la realizzazione del polo scolastico di Scafati) ed a numerosi affidamenti diretti concessi dallo stesso Ente pubblico. L’analisi, da parte degli investigatori, della documentazione acquisita (gare d’appalto, gestione delle società partecipate del Comune di Scafati, delibere di Consiglio e Giunta comunale, affidamento di servizi), le risultanze delle conseguenti attività tecniche e l’esito positivo di molteplici attività di perquisizione hanno portato gli inquirenti a: documentare significative cointeressenze tra alcuni amministratori del Comune di Scafati e i vertici del clan camorristico “Loreto-Ridosso”, operante in modo egemone a Scafati e Comuni limitrofi; di riscontare le dichiarazioni fornite, al riguardo, da collaboratori e testimoni di giustizia; di accertare l’attuale operatività della citata consorteria criminale, mediante riscontri che portavano, nel luglio 2016, all’emissione di un provvedimento di fermo di indiziato di delitto nei confronti di 4 soggetti noti alle forze dell’ordine, affini al clan “Loreto-Ridosso”, ritenuti responsabili di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. Al termine dell’attività investigativa e sulla scorta delle significative evidenze raccolte, nel settembre del 2017, la sezione del Riesame del Tribunale di Salerno, accolse l’appello del pubblico ministero Vincenzo Montemurro ed emise l’ordinanza cautelare divenuta esecutiva, ieri, a seguito del rigetto del ri- corso proposto degli ai difensori degli indagati. Al termine delle operazioni di rito, Aliberti Angelo Pasqualino è stato associato presso la Casa Circondariale di Salerno-Fuorni, mentre Ri- dosso Luigi e Ridosso Gennaro sono stati confermati presso i rispettivi istituti penitenziari, poiché già detenuti per altra causa. Successivamente, a seguito dell’attività investigativa posta in essere dalla Procura di Salerno, il 21 marzo del 2016 il Prefetto di Salerno – su delega del Ministro dell’interno – nominò una Commissione con il compito di svolgere mirati accertamenti diretti a verificare eventuali, possibili condizionamenti e infiltrazioni della criminalità nell’ambito dell’attività gestionale ed amministrativa del Comune di Scafati. Le risultanze emerse nella relazione conclusiva redatta dalla Commissione furono inviate dal Prefetto di Salerno, per le determinazioni di competenza, al Ministro dell’interno. Era il 27 gennaio del 2017 quando su conforme proposta del Ministro dell’interno, il Consiglio dei Ministri deliberò lo scioglimento per infiltrazioni da parte della criminalità organizzata del Consiglio comunale di Scafati; a seguito di ciò, in il 30 gennaio 2017 il Presidente della Repubblica nominà la Com- missione Straordinaria per il Comune di Scafati, che tuttora amministra l’Ente.

Giustizia mediatica da Tangentopoli ad Aliberti di Tommaso d’Angelo

Sulla controversa vicenda dell’ex sindaco di Scafati, Pasquale Aliberti, la giurisdizione ha ingaggiato una battaglia anche mediatica che non rende onore alla giustizia. Si è trattato di un arresto tardivo dal punto di vista logico, nonostante il sigillo della Cassazione, arresto peraltro ottenuto in seguito ad una puntigliosa e reiterata richiesta della Procura. Salvo che non ci siano ulteriori elementi allo stato attuale sconosciuti, come le nuove rivelazioni dei collaboratori di giustizia che però non entravano in questa discussione davanti alla Cassazione. Con fotografi e telecamere appostati al posto giusto al momento giusto. In generale l’accusa di mediatizzare le fasi giudiziarie dei processi, che di solito investe gli organi di informazione, è ricaduta chiaramente sugli operatori del diritto, che sono – è emerso anche questa volta – all’origine dell’amplificazione giornalistica abnorme delle vicende di giustizia. D’altra parte, come potremmo noi giornalisti fornire informazioni e immagini dei veri o presunti rei se le stesse non ci fossero offerte talvolta con cinica disinvoltura? Serviva Aliberti in carcere, era necessaria questa prima “condanna” preventiva, per poter dimostrare urbi et orbi di aver visto giusto? Occorreva che l’ex sindaco fosse osservato mentre mestamente si avviava verso il carcere? Gli uomini che amministrano la giustizia, in questa storia così controversa, ancora tutta da leggere e dagli esiti imprevedibili, hanno avuto bisogno di quel foro mediatico e alternativo che è, poi, la negazione della giurisdizione. Il processo, infatti, non è ancora iniziato e soltanto in aula si potranno sottoporre al vaglio critico indizi e prove finora raccolti e, puntualmente, neutralizzati dalla decisa quanto inefficace attività della difesa. Il processo ha modalità e logiche accusatorie, quello mediatico è rimasto palesemente “inquisitorio” perché viene alimentato dall’emotività, dall’apparenza, dai convincimenti collettivi, laddove il primo invece conosce specifiche regole di inclusione, criteri rigorosi di valutazione, agiti da professionisti deputati a queste funzioni. Da tangentopoli in poi funziona così. Una bruttissima pagina, che ha determinato, nei minuti della “passerella” di Aliberti, poi caricato dal furgone, la morte della giustizia. In attesa dei tempi geologici del processo, occorreva la sigla dello spettacolo finale, il do di petto necessario per far passare nell’opinione pubblica, come maestosa ed esemplare, l’ordinaria esecuzione di un provvedimento cautelare che, in sé, non significa molto né aggiunge elementi probatori alla ricostruzione di fatti. La prima “pena”, quella dell’inutile esposizione mediatica inflitta all’ex sindaco prima del giudizio, è stata eseguita. Speriamo che non si sia creato un altro martire del quale proprio non avevamo bisogno.

L’intervista: «Credo nell’innocenza di mio marito. Non auguro a nessuno il nostro dolore»

“Credo fortemente nell’innocenza di mio marito. Sono basita da una sentenza del genere. Ma continuo ad avere fiducia nella giustizia”. Monica Paolino, moglie dell’ex sindaco di Scafati Pasquale Aliberti ha vissuto l’intero calvario dell’attesa insieme al marito. Nel tardo pomeriggio di ieri, contattata telefonicamente, ha espresso incredulità per la decisione assunta dagli ermellini.

Consigliere, come avete accolto la decisione dei giudici della Suprema Corte?
«Sono rimasta basita da una sentenza del genere e molto amareggiata. Non aggiungo molto. Mi riservo di farlo successivamente perchè in questo momento devo metabolizzare. Forte era la fiducia nell’Organo della Cazzazione che ritengo sia un Organo super partes. Dopo la sentenza a dire il vero, mi è cascato il mondo addosso. Mi sento abbattuta, ma nonostante ciò dico: bisogna continuare ad essere forti. Noi non ci fermeremo sicuramente qua. Credo fortemente nell’innocenza di mio marito e quindi sono sicura che lui riuscirà a dimostrare nelle sedi opportune, quindi nelle aule del Tribunale la sua completa innocenza. Pasquale è mio marito. Il padre dei miei figli, l’uomo che amo. Sono amareggiata, è vero. Desideravo che mio marito affrontasse il processo da uomo libero, era un suo diritto! Pur rispettando le decisioni dei giudici, provo un profondo sconforto per questa ennesima umiliazione della misura cautelare, una ferita che sarà difficile da rimarginare».

Le reazioni/ Matrone: «Non c’è da esultare perché a perdere è Scafati»

Grimaldi: «Ci restano solo le macerie della sua gestione».

Non si sono fatte attendere le reazioni politiche a seguito della diffusione dell’arresto dell’ex sindaco di Scafati Pasquale Aliberti. «Ci interessa il processo politico non quello dei tribunali. – affermano i componenti di Scafati in Movimento – Ci interessa se verrà condannato per danno erariale dalla Corte dei conti non dalla Cassazione. Guardiamo al futuro, progettiamo Scafati sugli errori politici di Aliberti non sulle sue ipotesi di reato. Ripetiamo da sempre che nessun tribunale o giudice potrà mai assolvere Aliberti &co dai fallimenti politici della sua amministrazione (Pip, Polo Scolastico, ExCop- mes, debiti etc.etc). Con lui del disastro scafatese sono responsabili tutti quelli che lo hanno sostenuto, dalla composizione delle sue liste alle sue nomine». Per Angelo Matrone ex consigliere comunale ed esponente di Fratelli d’Italia:«La decisione della Cassazione va letta per quello che è. Non c’è da festeggiare o esultare, perché a perdere in questi mesi è stata Scafati. Lo dimostra le condizioni in cui i commissari straordinari sono costretti a operare”. «Per formazione politica e culturale non commento le sentenze della magistratura, che vanno sempre rispettate. Per formazione politica e culturale, penso anche che ogni cittadino, anche l’avversario più feroce e violento, è innocente fino al terzo grado di giudizio. -Ha precisato Michele Grimaldi del Pd – Lo scrivo, perché anche se la sentenza della Suprema Corte che decreta l’arresto per l’ex Sindaco di Scafati fosse stata di senso opposto, oggi direi le stesse cose. Stesse cose che abbiamo ripetuto per otto anni, anche quando molti hanno preferito un comodo silenzio: il dottore Aliberti è colpevole di aver distrutto economicamente e socialmente la nostra Scafati, di aver provato a piegare la nostra città al suo arrivismo personale e agli interessi di famiglia, di aver usato la macchina pubblica in maniera privata e dispotica, di aver aperto le porte di Palazzo Mayer a clientele, familismo, malavita organizzata. È colpevole dello scioglimento per camorra e dell’arrivo della Triade commissariale, di aver lasciato debiti ed inefficienza, di aver provocato un buco di bilancio di oltre trenta milioni di euro, di aver assistito in silenzio e accompagnato consciamente la chiusura dell’ospedale, del deficit strutturale e funzionale dell’Acse e del ciclo di raccolta dei rifiuti, delle strade buie e dissestate, dell’assenza di una rete fognaria e degli allagamenti ad ogni pioggia, del decadimento della Villa comunale, dello sperpero dei fondi europei, della mancata riqualificazione del centro storico, del fallimento del Pip, delle case popolari occupate da pregiudicati e tolte alla povera gente. Le sue vicende giudiziarie sono un suo fatto privato, quel che resta a noi scafatesi sono le macerie dalle quali e sulle quali siamo chiamati a ricostruire: senza ripetere, tutti noi, gli errori del passato. Anche per questo, per rendere effettivamente possibile la rinascita e il cambiamento, come abbiamo già proposto a tutte le forze politiche ed ai movimenti della nostra Scafati, è oggi più che mai necessario un patto d’onore dinanzi alla città: un patto di legalità, per liste pulite e metodi trasparenti, affinché mai più nessun soggetto politico possa consentire all’illegalità diffusa e alla criminalità organizzata di poter mettere piede e radici nella Casa comunale».