A certe domande neanche i libri hanno risposte - Le Cronache
Spettacolo e Cultura teatro

A certe domande neanche i libri hanno risposte

A certe domande neanche i libri hanno risposte

Ospitiamo l’intervento dell’attrice Francesca Pica su questo “tempo sospeso” e che speriamo di applaudire in maggio a Salerno in “Mare” per festeggiare i cinque anni di MutaversoTeatro

Di Francesca Pica

“I flagelli, invero, sono una cosa comune, ma si crede difficilmente ai flagelli quando ti piombano sulla testa. Nel mondo ci sono state in egual numero, pestilenze e guerre; e tuttavia pestilenze e guerre colgono gli uomini sempre impreparati.” Questo brano è tratto da uno dei libri che mi stanno accompagnando in questo periodo: La peste di Albert Camus. Una scelta dettata dalla curiosità, volta a trovare similitudini con la drammatica situazione che ci troviamo a vivere, e anche dalla speranza di riuscire a chiarificare il pensiero e la visione sul presente attraverso le parole di un grande scrittore e pensatore del novecento. Grande è il mio stupore trovandomi di fronte a pagine in cui non solo non riesco a trovare risposte ma, essendo specchio quasi fedele di quello che sta succedendo, non fanno altro che moltiplicare le mie domande e le mie angosce. Il risultato è quello di riuscire a leggere poche pagine al giorno, un po’ per paura di scoprire tra quelle righe un futuro che potrebbe non piacermi e un po’ perché diventa ancora più difficile accettare la realtà, così assurda, vedendola tracciata in un romanzo; non ci si raccapezza più, il vero scivola nell’invenzione e viceversa e questo non aiuta. Quando è cominciata l’emergenza ero a Torino in tournée con lo spettacolo “L’anima buona del Sezuan” de Le belle bandiere. Nei giorni in cui ci apprestavamo a terminare le repliche la situazione non era ancora chiara, si parlava del virus in Italia e dei contagi, di chiudere i musei e i teatri, e arrivati all’ultimo spettacolo eravamo certi che il Teatro Astra sarebbe stato mezzo vuoto a differenza delle altre sere. Non fu così, aperto il sipario ci rendemmo conto che il teatro era pieno e ricordo bene la sensazione di gratitudine, di vicinanza e di sollievo che provai. Il teatro è trasformazione: si trasformano gli attori, si trasformano gli spettatori, si trasformano i pensieri e di conseguenza la realtà e lo si fa assieme, riconoscendoci, grazie ad esso, come comunità che ritrova sé stessa e tutti in quelle ore di spettacolo annullammo la paura del momento, trasformandola. Sembra sia passata un’eternità da quei giorni e quanto sono cambiate le priorità di azione e di pensiero. In questa attesa che ci tiene col fiato sospeso, con la mente sempre proiettata a chi si è ammalato, a chi non c’è più, ai medici e agli infermieri e alle persone che stanno dando un aiuto concreto per superare la crisi, le nostre vite continuano ad andare avanti in una nuova strana forma. Alcuni continuano a lavorare altri sono completamente bloccati. Tra questi ci sono anche io, già abituata a tempi improvvisamente dilatati in cui si apre il baratro delle infinite incertezze sul futuro: la categoria dei lavoratori dello spettacolo dal vivo è una categoria con poche garanzie, la sopravvivenza è sempre incerta anche in periodi normali e l’attuale crisi ha solamente messo in evidenza un sistema già minato e fallimentare. Adesso che sono saltate tutte le date, le rassegne, le stagioni e recuperare le repliche cancellate sarà spesso impossibile non ci resta che fare tesoro di questo momento, viverlo per quello che è e fare in modo che quando ne saremo usciti si attuino dei veri cambiamenti. Il teatro adesso non c’è, non può esserci e più che soffermarmi sui suoi surrogati, che non fanno altro che aumentarne la nostalgia, mi ritrovo a pensare in quali altri modi potremmo fare teatro se le norme di sicurezza dovessero impedirci, a ragion veduta, di riprendere il nostro lavoro. Ritornando al libro che mi fa da guida in questo terribile periodo, confesso di essere andata a leggerne il finale: la peste degrada e la vita riprende a scorrere, il paese è in festa e tutti ballano. Anche l’epidemia del corona virus passerà, così non lasciamoci cogliere impreparati: utilizziamo questo tempo per ricostruirci e ricostruire, progettare e immaginare, anche le segrete speranze ci portano avanti e se dovessero essere disattese saranno state almeno ponte, traghetto di nuove energie. Il 13 maggio dovrei essere in scena a Salerno nella stagione di Mutaverso Teatro diretta da Vincenzo Albano con uno spettacolo a cui tengo moltissimo, Mare, e  accarezzo l’idea che presto, se non a maggio, quando tutto sarà finito, ci rialzeremo e cominceremo a godere della vita in un nuovo modo e anche del teatro che della vita è la più grande celebrazione.