Questioni di Buona educazione - Le Cronache
Spettacolo e Cultura teatro

Questioni di Buona educazione

Questioni di Buona educazione

Successo di critica e pubblico per Serena Balivo ospite a Salerno della IV Stagione di MutaversoTeatro, firmata da Vincenzo Albano

 

Di OLGA CHIEFFI

 

Una volta c’era la buona educazione, quella che imparavi prima di tutto da mamma e papà, poi dalla maestra e, infine, dai più grandi che loro sì sapevano stare al mondo e soprattutto, in questo mondo, volevano fare bella figura. Una volta era facile dire ad una persona che era maleducata perché tutti sapevano cosa fosse la “buona educazione”, oggi, nell’era dell’abbondanza e dell’ostentazione, ha prevalso l’idea che le regole di comportamento, il “si fa, non si fa”, l’educazione e l’eleganza dei modi, fossero solo doveri ipocriti e vuote esteriorità, che soffocano la libera espressione dell’individuo. All’imposizione di inutili formalismi si sono giustamente contrapposte spontaneità e naturalezza, ma senza preoccuparsi di porre i limiti del rispetto degli altri alla libera affermazione del proprio ego e dei propri interessi. Il risultato è una società imbarbarita, in cui è sempre più difficile vivere, e dove gli atteggiamenti prevalenti sono quelli dell’ostilità, piuttosto che della gentilezza, dell’indifferenza più che dell’attenzione verso gli altri. La sospettosità è diventata il sentimento più diffuso, e su di essa si orienta il nostro modo di stare al mondo. La persona che ho di fronte mi rispetterà o cercherà di prevaricarmi? Una delle conseguenze più negative della scomparsa della buona educazione è, infatti, quella di aver diminuito la prevedibilità delle azioni altrui, su cui in larga misura si basano le relazioni umane. Un tempo si poteva ragionevolmente prevedere che una domanda cortese avrebbe ricevuto una risposta di egual tenore, che a un invito sarebbe seguita una replica, che un ritardo sarebbe stato accompagnato da delle scuse. Esiste oggi una Buona Educazione? E come si dovrebbe impartire? A Salerno, sul palcoscenico del Centro Sociale, la Piccola Compagnia Dammacco con Serena Balivo sola on stage, ha presentato “La Buona Educazione”, terza parte del progetto “Trilogia della fine del mondo”. Il regista Mariano Dammacco, autore del testo, ha immaginato una single, una zitella, per scelta o per altra motivazione, in longuette, quasi una suora laica, in un salotto novecentesco, pieno d’ombre, claustrofobico, invaso da automi, svolgere una vita ripetitiva, una vita grigia, ma comoda, quasi al di fuori del tempo, fatta di azioni ripetitive da anni, “automatiche”, ritualità irrinunciabili. Dopo un sogno, in cui incontra i genitori scomparsi, l’affidamento del nipote, il figlio della sorella prematuramente scomparsa, un’eredità umana, la responsabilità di educarlo. Eccola catapultata in un mondo che non riconosce più, quello della scuola, in cui le gerarchie sembrano capovolte, gli insegnanti vengono attaccati, ed ugualmente chi li difende, da mamme guerriere a difesa dei propri figli svogliati e ignoranti, attraverso infuocati gruppi whats app. Educazione è forse la frequentazione del liceo classico e non di quello odontotecnico che offre più possibilità di lavoro e arricchimento? Educazione è starsene da soli a chattare magari in video conferenza con gli amici, attraverso linguaggi beceri e poveri, invece di intavolare una proficua conversazione con la consecutio temporum a posto? Bisognerà riflettere, indagare con una bella lente d’ingrandimento sui problemi d’incomunicabilità del ragazzo di cui la zia non può, però, più fare a meno. La strizzacervelli apre il cuore, gli appetiti, la testa del ragazzo e trova catenacci, pezzi di ferro “incompatibili”. D’altra parte, affermava Strindberg che “L’educazione fa di ciascuno di noi un pezzo dell’ingranaggio e non un individuo” e i processi della pièce di Dammacco che attengono il sogno, la diluizione del quadro spazio-temporale, l’assenza di stabilità, le erranze angosciate, evocano il genio svedese. Indifferenza, incomunicabilità, si possono risolvere vivendo l’istante, essendo parte di un’emozione, pathendo. Zia e nipote s’incontreranno in un urlo: goal. La Juve segna. Nell’ Allianz Stadium l’emozione è condivisa, l’istante dello sport è come quello dell’arte, del teatro, l’atto, la vita stessa nella sua pienezza. Attratti dall’incanto dell’esperienza universale, entrambi proveranno una sensazione personale, liberatoria, romantica, ritrovando, finalmente, se stessi, ritrovandosi insieme.