VOCI DAL SERRAGLIO                                 Giuseppe Petraglia: e clarinetto fu Rubrica a cura di Olga Chieffi - Le Cronache
Salerno

VOCI DAL SERRAGLIO                                 Giuseppe Petraglia: e clarinetto fu Rubrica a cura di Olga Chieffi

VOCI DAL SERRAGLIO                                 Giuseppe Petraglia: e clarinetto fu   Rubrica a cura di Olga Chieffi

Il musicista di Piaggine,  fu ospite dell’Orfanotrofio Umberto I° a Salerno per ben 12 anni e due giorni. “Per tutti quelli che affermano che per riuscire in qualcosa si deve essere portati! posso essere anche d’accordo, ma io mi sono sempre presentato come esempio del contrario, fino all’età della prima media la musica era per me una cosa del tutto sconosciuta, mi è stata data l’opportunità di studiarla e continuo ad avere le mie piccole soddisfazioni”

Di Giuseppe Petraglia

Ho varcato il portone dell’Orfanotrofio Umberto I° il 9 luglio 1962, ricordo bene quel lunedì. Il perché  fossi stato “rinchiuso” lì il mese di luglio, in piena vacanza, non l’ho mai capito, fu un giorno del quale conservo solo poche immagini, la grande scala dopo l’entrata, l’enorme spazio la villetta, che sarebbe diventato il luogo di giochi, corse, litigi e successive riappacificazioni con i compagni. Non ricordo chi mi accolse, chi mi accompagnò in villetta, cosa mangiai il primo giorno, i miei abiti che fine fecero, a quale camerata venni assegnato, ma solo tante lacrime dopo che mia madre andò via. Trovai rifugio, anche nei giorni successivi per piangere non visto, sotto quegli archi vicino al vecchio refettorio, archi che divennero lo sfondo per tante foto di ognuno di noi. Fu quello il primo giorno di 12 lunghi anni ma, sicuramente tutto ebbe inizio qualche anno prima, quando la sera di venerdì 20 febbraio 1959, a soli 33 anni,  un ictus si portò via mio padre lasciando soli mia madre e due figli piccoli. Frequentai fino alla terza elementare al mio paese, Piaggine, nel frattempo qualcuno cominciò a interessarsi alla nostra situazione familiare, un signore, che ho odiato per qualche anno, che lavorava a Salerno, trovò il modo tramite l’ Enaoli di farmi entrare in collegio. Quarta e quinta elementare, pochi ricordi e molto brutti, quello più presente, il maestro B. A. (riporto solo le iniziali) aveva un modo molto originale di farci evitare gli errori: dettato in classe, ogni errore una bastonata sulle mani con un pezzo di tubo di gomma, quello per innaffiare. Nel mio dettato furono riscontrati 10 errori e fui  spalmato per 10 volte. Ho letto qualche tempo fa che qualcun altro ha raccontato l’episodio del tubo di gomma, ma di compagni delle elementari non ho nessun ricordo. Finite le scuole primarie, si doveva scegliere cosa fare alle medie. Qualche Istitutore scelse per me, mi trovai iscritto alla prima media musicale e si doveva scegliere lo strumento, anche stavolta qualcuno scelse al posto mio, il Maestro Antonio Avallone che era vice direttore, dopo una rapida occhiata alle mani e al labbro: “Clarinetto” sentenziò . Che sapevo io di clarinetto o di musica, mi trovai avviato in questo viaggio malvolentieri, infatti cominciai a studiare un po’ seriamente solo a metà seconda media. Il mio percorso scolastico iniziò con il Maestro Sisillo, poi Incenzo e gli ultimi 2 anni con il Maestro Scarrico. Teoria e solfeggio con il Maestro Sevosi. Proprio nel corso di solfeggio, nello svolgere un esercizio scritto, io e un compagno facemmo lo stesso errore, la conclusione? Avete copiato! Ancora oggi ricordo che ognuno sbagliò per conto proprio, questo episodio l’ho più volte raccontato nella mia carriera scolastica e quando è capitato qualcosa del genere non ho mai voluto indagare più di tanto, può capitare. In prima media cominciai a studiare con lo strumento della scuola, l’impegno in verità non era molto e il tempo per esercitarsi si doveva trovare dopo i compiti delle altre materie. Con alcuni compagni delle medie ci siamo ritrovati da qualche anno in occasione delle varie rimpatriate, ultimamente ho rivisto Ferdinando Bassano, vorrei ritrovare Matteo Memoli, che aveva iniziato lo studio dell’oboe, poi non so perché smise, fatto sta che non ho saputo mai più niente di lui. Entrai in banda, le prove nella sala concerti sotto la direzione del Maestro Amaturo, le uscite per le diverse sfilate per manifestazioni civili (4 novembre, 25 aprile) e tante processioni, S. Matteo e ad anni alterni tra la zona porto e canalone S. Anna. La gente che chiedeva di dov’è questa banda? La nostra risposta era sempre la solita: è la banda dell’Orfanotrofio, a banda ro’ Serraglio? Era la nuova domanda. Iniziai a credere nelle mie capacità, spronato dai compagni e dall’insegnante venne il momento di cominciare a pensare ad acquistare uno strumento personale, in questo fui molto aiutato dal Maestro Sisillo che lo fece arrivare direttamente dalla fabbrica, era l’ottobre 1968 e mia madre con tanti sacrifici dovette accollarsi la spesa di ben 125.000 lire, a parte la spesa eccessiva era pure contraria allo studio della musica, perché lei mi vedeva bene a fare il falegname. Anni di studio, soddisfazioni si, ma anche momenti di sconforto quando le cose non andavano per il verso giusto, anche se si era circondati da tanti amici, si vivevano spesso momenti di solitudine, mancanza degli affetti familiari, dei luoghi natii, delle poche notizie che si ricevevano da casa. Le domeniche, dopo la messa i familiari potevano venire a trovarci, io non ricordo di aver avuto questa gioia se non per un paio di volte, ma non ho mai fatto una colpa a mia madre perché sapevo cosa doveva affrontare non solo dal punto di vista economico per arrivare a Salerno . Spesso mi consolavo affacciato alla ringhiera della villetta a osservare il bel panorama che avevamo a disposizione e soprattutto nelle giornate limpide il mio sguardo si allungava a scrutare lontano quasi a voler scorgere il mio paese… ! A casa si tornava nei tre periodi canonici, (estate, Pasqua e Natale) io come altri spesso questi periodi li ho trascorsi in collegio, troppo lontano e costoso venire a prendermi, il problema cominciò a risolversi verso i 17/18 anni quando tramite autorizzazione potevamo andare a casa da soli, gioia infinita l’arrivo, grande magone qualche giorno prima del ritorno in collegio, la tristezza durava anche una settimana per poi tornare alla normalità, spesso pensavo di non andare a casa appunto per non patire poi il dolore del ritorno. Capitolo problemi con gli istitutori, tanti ne hanno parlato in maniera positiva e negativa, in verità io non ho mai avuto grossi problemi tanti rimproveri e un ceffone dal Faiella che mi sorprese a fumare. Un altro (suonatore di clarinetto) non ricordo perché, mi obbligò a lucidare le sue scarpe, per ripicca passai il lucido anche sulle suole. Tra i tanti istitutori alcuni sono scomparsi dai ricordi, altri sono rimasti per la loro infinita bontà e per quello che cercavano di trasmetterci, anche i cosiddetti cattivi, penso che in loro c’era sempre lo scopo di educarci, di sicuro in maniera sbagliata, ma allora così andavano le cose. Non posso non ricordare il compianto Totonno Gregorio, eravamo paesani, anche lui prima alunno e poi istitutore, aveva la capacità di richiamarci con il solo sguardo bonaccione e non si poteva fare a meno di ubbidire, i due Maiorano, Di Somma , Pisano e il mitico Zi Mimì; nei miei ricordi è presente un assistente: Mora, il nome non lo ricordo, di poche parole con capelli molto ricci, aveva l’abitudine che ogni mattina si lavava la testa con l’acqua fredda. Vestiario e doccia, come dimenticare il turno per la doccia quasi sempre con acqua non proprio calda, sapone per il bucato e asciugatoio ancora più freddo per asciugare anche i capelli. La biancheria intima era quasi personale perché vi era ricamato il numero (romano) della camerata e quello personale, io ero il 55 di quale camerata non ricordo. Il resto della divisa come si vede dalle varie foto è molto cambiato negli anni, in giro per Salerno eravamo riconoscibili e additati con un uè serragliuò! Allora la prendevamo in maniera offensiva, oggi penso che tutti possiamo essere orgogliosi di quello che “il serraglio” ci ha dato come occasione di crescita e formazione professionale, il tutto grazie a colui che abbiamo considerato il Padre di tutti noi: Alfonso Menna, che per tanti anni ha fatto in modo che a ognuno di noi toccasse colazione pranzo e cena, oltre ovviamente a tutti gli altri servizi. Capitolo cibo: io ho cominciato nel vecchio refettorio, luogo angusto, poco luminoso e con lunghi tavoli, non è nei miei ricordi il periodo del passaggio al refettorio nuovo, molto più luminoso e con tavoli da 6/8 persone. Il cibo era quasi sempre accettabile, tra le pietanze ricordo l’immancabile pizza di patate il sabato sera e la mozzarella in carrozza, vi era poi l’abitudine di scambiarci le cose se non piaceva il primo o il secondo. Infermeria: ci si andava per medicare le immancabili sbucciature, per le razioni di olio di fegato di merluzzo e si veniva ricoverati per febbre o altri malanni, ricordo il mio morbillo in infermeria; il caro don Luigi ci misurava la febbre e durante una mia degenza mi addormentai e persi il termometro nel letto, al controllo non lo trovò sotto al braccio e mi rimproverò in maniera molto bonaria con una parolaccia che ci poteva stare. Capitolo svago: diversi i passatempi, tra quelli che sono presenti nei miei ricordi vi è la tombola , si iniziava a giocare verso la seconda settimana di novembre, in pratica si cominciava a creare l’ atmosfera per le vacanze natalizie; i più bravi a disegnare si costruivano un calendario al contrario, un schema che contava i giorni che mancavano per le vacanze di natale; altro gioco era una specie di subbuteo, (i rutielli) con dei cerchietti di ferro tipo rondelle che si usavano come calciatori, che avanzavano sotto la spinta del pollice, c’erano poi le famose cinque pietre, “ uno mbonda a luna” e “ scava scava re”. Arrivò il 1974, anno del diploma, lo studio richiedeva continuità e qualità, a luglio sostenemmo in tre l’esame al Conservatorio di Napoli (io, Gaetano Sica e il compianto Tonino Landi). Pure io dovetti fare l’esame di armonia senza aver mai fatto, come tanti di noi cinque minuti di lezione in due anni, dovevamo diventare tutti strumentisti, il titolare di armonia che aveva sempre altro da fare si presentò il pomeriggio precedente all’esame e mi consegnò un mezzo pentagramma “imparalo per domani che questo ti chiedo”! Solo dopo qualche anno ho potuto verificare con rammarico quanto la mancanza di tale conoscenza ha impedito a tanti di noi di praticare un’ attività sicuramente più qualitativa. Cominciava a calare la presenza degli alunni interni e cominciavano a frequentare gli esterni, negli anni precedenti si erano diplomati tra gli altri: Gaetano Russo, Mario Apadula, Franco Lauro, Renato Fusco, Raffaele Pastore e il compianto Cassio Prinzo (mio padrino di cresima) . Ogni anno 2/3 di noi lasciavano il collegio, e la considerazione che facevamo spesso era: “Ma se fra un po’ di anni volessimo rivederci come faremo a ritrovarci”? Qualcuno esclamò: “Vabbè, sicuramente inventeranno qualcosa”. Profeta? Visto il proliferare di tanti social? L’11 luglio del 1974 lasciai il serraglio con un po’ di malinconia, mi aspettava un futuro che mi avrebbe ripagato delle tante sofferenze patite. Entrato a 9 anni, bambino timoroso di tutto, impacciato e inquieto per il futuro, ne uscivo adulto e diplomato in musica, primo e unico diplomato in clarinetto della mia zona. L’avverso destino che mi privò dell’affetto di mio padre all’età di quasi 6 anni, mi portò dopo qualche tempo in collegio, dove ho avuto il privilegio di apprendere qualcosa che mai poteva essere presente nel mio DNA. Terminato il periodo degli studi dovetti affrontare il problema del servizio militare che avevo rinviato tante volte, fui arruolato nella banda della Guardia di Finanza dove trovai tanti altri serragliuoli, potevo restarci e continuare a suonare, ma la vita militare dopo 12 anni di collegio non era proprio l’ideale, nel frattempo avevo fatto domanda nelle scuole, a marzo del 1977 ebbi l’incarico nella scuola media del mio paese, il desiderio di tornare a vivere i luoghi natii e avvicinarmi alla famiglia mi portò a scegliere l’insegnamento come professione . Ultima considerazione per tutti quelli che affermano che per riuscire in qualcosa si deve essere portati! posso essere anche d’accordo, ma io mi sono sempre presentato come esempio del contrario, fino all’età della prima media la musica era per me una cosa del tutto sconosciuta, mi è stata data l’opportunità di studiarla, ho studiato, mi è stata utile in tante circostanze, non sono diventato un concertista, ma ho avuto e continuo ad avere le mie piccole soddisfazioni.