Voci dal Serraglio: Antonio Acconcia rubrica curata da Olga Chieffi - Le Cronache
Salerno

Voci dal Serraglio: Antonio Acconcia rubrica curata da Olga Chieffi

Voci dal Serraglio: Antonio Acconcia rubrica curata da Olga Chieffi

Il maestro ceramista Antonio Acconcia

La grande scuola di ceramica dell’ Orfanotrofio che ebbe nei fratelli Avallone i fondatori accolse il piccolo Antonio. “In seguito la mia scuola fu trasformata in istituto d’arte e trasferita prima in via de’ Mercanti e poi a Pastena. Fu la mia fortuna. Ebbi la possibilità di uscire quotidianamente, con la mia bella divisa di libera uscita, così conobbi il mondo.

Di Antonio Acconcia

In questo momento particolare, il mondo sembra cadere vittima del corona virus, nemico invisibile e devastante, mi sono ritrovato ad avere tanto tempo a disposizione da impegnare in qualche modo. Nel sistemare libreria è cassetti, ho ritrovato un vecchio è dimenticato album di fotografie, con le immagini di una vita intera, da neonato, adolescente, uomo. Con esse vividi ed incisivi, ricordi, emozioni, sensazioni. Questo otium mi ha riportato nel tempo andato, in cui la mia vita di bambino si è trasformata essendo stato lontano dalla mia casa, dalla mia famiglia, dalla certezza che ogni bambino trova tra le mura casalinghe. Dal 1956\1958   fui ospite nel collegio delle suore della Misericordia a torre Angellara,  un grande complesso sul mare, quindi, mia madre tramite una raccomandazione del allora sindaco Menna Alfonso riuscì a collocarmi nell’Orfanotrofio Umberto I. Un triste ma necessario allontanamento dalla famiglia perché entrambi i genitori erano costretti fuori per lavoro, ed avrebbero dovuto lasciarmi solo in casa per tutto il giorno, quindi, fu cosi deciso il mio destino. Ho davanti agli occhi la struttura imponente e maestosa   dell’istituto situato nel rione di Canalone con una vista meravigliosa sul golfo di Salerno, ma nel contempo il ricordo dello smarrimento, la paura dell’incognito il desiderio imperioso di girarmi e correre via, di ritornare alla mia casa nelle braccia di mamma ma, subito preso in consegna dall’istitutore di turno entrai in istituto. A quel tempo erano ospiti circa 600 ragazzi, dai sei  ai diciassette anni  anni, suddivisi per età e indirizzo scolastico in sei camerate, di circa novanta letti con regole rigide da rispettare senza appello . Nessuno mi chiese se avessi delle preferenze, tantomeno se avessi delle eventuali attitudini, la regola era fornire una base di istruzione ed imparare un mestiere per la vita futura. Fui inserito nella scuola inferiore annessa al laboratorio di ceramica nelle ore mattutine e assegnato al laboratorio di tipografia nel pomeriggio. La scuola di ceramica era all’interno ed era consentita la frequenza anche a ragazzi esterni, in seguito la mia scuola fu trasformata in istituto d’arte e trasferita prima in via de’ Mercanti e poi a Pastena. Fu la mia fortuna. Ebbi la possibilità di uscire quotidianamente, con la mia bella divisa di libera uscita: completo nero camicia bianca cravatta nera, cappello con stemma e cappotto blu, così conobbi il mondo. Diventai presto il “fornitore”, un piccolo Garoffi del libro Cuore di Edmondo De Amicis, per tutti gli altri ragazzi dell’istituto, che mi chiedevano di acquistare: sigarette, caramelle, alimenti vari, figurine di calciatori e altro, che nè io e nè altri avremmo mai potuto trovare fra le mura dell’istituto, alcuni di essi ne facevano commercio all’interno dell’ orfanotrofio e principalmente quando eravamo in villetta, e molti ne approfittavano per comprare con quelle poche lire l’agognata caramella, la sigaretta dove il prezzo cambiava in funzione della marca, e le tanto gettonate figurine della Panini. Già da tempo avevo imparato a rendermi utile per tanti piccoli servizi, fra questi la domenica chiamare con l’altoparlante i ragazzi in parlatorio per la visita parenti, servivo Messa alla celebrazione domenicale in Sant’Anna, mentre la sera aiutavo le inservienti a posizionare le posate sui lunghissimi tavoli nel refettorio, per strappare un panino o un frutto di compenso. La mia esperienza al serraglio è durata otto anni, certo mi ha privato dell’adolescenza delle esperienze dell’età giovanile, in cambio ha cementato i pilastri della mia vita con lo studio, l’educazione, il rigore, ed il senso del rispetto  della responsabilità che tutt’oggi mi accompagnano. All’uscita dall’istituto ho realizzato i miei progetti: nel 1968 ho conseguito l’abilitazione all’insegnamento in Disegno e storia dell’arte, ho svolto il servizio militare di ufficiale di complemento, nel 1969 ho insegnato disegno e scuola dell’arte nelle scuole di primo e secondo grado a Potenza e provincia, e nel tempo ho coltivato vari hobby, ho curato vari spot pubblicitari televisivi, sono stato maestro e giudice di ballo, a tutt’oggi svolgo l’attività di guida ed accompagnatore turistico girando il mondo. La mia indole gioviale si è arricchita con l’esperienza del collegio di cui serbo un ricordo positivo, ma la molla e l’incentivo di cercare il bello ovunque lo devo a mia mamma che sia pure con mille difficoltà ed espedienti non ha mai saltato un giorno per vedermi anche da lontano, riuscendo con una rete di conoscenze ad inviarmi sempre un panino ripieno e quanto altro per farmi sentire il suo affetto i suoi abbracci che non poteva darmi da vicino. Ricordo ancora a memoria l’organigramma dell’Orfanotrofio dell’ultimo anno in cui fui ospite, il 1966 l’economato era affidato a Giovanni Serretiello e Antonio Vitale,  in direzione, Ugo Ricciardi, la cura spirituale era affidata al francescano padre Beda, mentre gli istitutori erano Faiella, certamente, il più ostico ed inviso, Trimarco, Riviezzo, Birra, Gregorio, Mastrogiovanni ed altri che non ricordo. In portineria c’erano Francesco Monetta, e Giovanni Menna, lo chef era  Michele, coadiuvato da  Suor Elda con Lucia Grippa, Faggiano Assunta, Anna, Clotilde e tante altre che non ricordo che si dedicavano anche alla pulizia generale dell’istituto a turno, le suore governavano la grande dispensa, mentre Luigi Lambiase  era il nostro infermiere celebre per il cucchiaio di olio di ricino e lo spicchio di  mandarino. Il barbiere era Michele Picariello  detto “ i rui annanz”, elettricista e operatore cinematografico il grande Giuseppe Del Mastro (detto Peppe) una persona da tutti amata curava le proiezione pellicole di film che ci regalavano quelle poche ore di vera allegria. Per la lavanderia, il personale esterno  comprendeva Lucia Pellegrino, Maria Papa e Maria Del Basso, calzoleria a cura di Diavoletto, persone e fatti che hanno penetrato il tessuto sociale ed affettivo di un’intera città, come la grande famiglia di quanti sono passati per quell’istituto.