Visione andaluse in Santa Apollonia - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Visione andaluse in Santa Apollonia

Visione andaluse in Santa Apollonia

Stasera secondo appuntamento alle ore 20, con la III edizione del Festival di Musica da Camera, promosso dal Conservatorio Statale di Musica “G.Martucci” e dalla Bottega San Lazzaro

 Di OLGA CHIEFFI

 Oggi, alle ore 20, secondo appuntamento della III edizione del Festival di Musica da Camera Sant’Apollonia. Un evento, nato dalla sinergia del Conservatorio di Musica “G.Martucci” di Salerno, con un progetto del Dipartimento di Musica d’Insieme, presieduto da Francesca Taviani, da un’idea di Anna Bellagamba con Chiara Natella e la sua Bottega San Lazzaro. “Una lotta dell’intelligenza amorosa con il mistero che la circonda e non può comprendere”, così García Lorca definiva la “pena andalusa”, quel “sentimento celeste” che non ha nulla a che vedere con la malinconia, la nostalgia, l’afflizione e la sofferenza dell’animo. Per capire questa pena si devono leggere i versi del “Romancero gitano”, pubblicato nel 1928, grande retablo poetico nel quale vibra l’Andalusia nascosta. Con questa raccolta Lorca ha operato una trasfigurazione lirica del romance, espressione di una grande tradizione di poesia narrativa profondamente legata alla musica. Ma l’interesse del poeta è rivolto anche a quello che in una celebre conferenza definì “albero lirico andaluso”, ossia il cante jondo, la radice storica del flamenco. Nella appassionata difesa del “canto primitivo” Lorca esorcizzò i fumi delle taverne e dei caffé per esaltare il “fremito lirico” delle siguiriyas. Il suo amore per la musica era alimentato dalla amicizia e dalla stima nei confronti di Manuel de Falla, con il quale nel giugno del 1922 aveva promosso il leggendario concorso di Granada per promuovere e nobilitare il cante jondo, il “filo che ci unisce all’Oriente impenetrabile”, attirando l’interesse di artisti, intellettuali e politici sulla più originale e arcaica forma del canto gitano. Il programma della serata del 2 giugno sarà inaugurato dall’esecuzione delle Tonadillas en estilo antiguo di Enrique Granados, affidate al tenore Daniele Lettieri e alla chitarra di Virginia Leone. Proprio nell’anno 1914 in cui scoppia la Prima Guerra nasce questo florilegio di tonadillas su parole di Fernando Periquet, percorso da una sottile eleganza come da tratti più incisivi e fantastici, da cui vengono estratti La maja dolorosa Tonadilla 2 e 3 ed El tralala y el punteado, che propongono profili diversi con una fresca ironia di fondo. Il soprano Francesca Manzo, unitamente alla pianista Lidia Fittipaldi, si cimenterà con il Poema en forma de canciones di Joaquin Turina. Il poema, come le canzoni su versi del poeta romantico Ramón de Campoamor, era stato composto da Turina nel 1917, in coincidenza con il centenario della nascita di esso. Si compone di cinque parti: la prima, puramente pianistica, a titolo di premessa; le altre quattro pagine sono canzoni con valore individuale. In altre parole, la poesia non costituisce un ciclo in senso stretto, ma una raccolta. Inoltre, ci sono diversi elementi che allineano il lavoro vocale del lavoro di Turina con il sentire romantico middleuropeo racchiuso nel Lied: da una parte abbiamo la posizione romantica dei testi scelti, dall’altra, la performance musicale in sé, l’ideazione melodica e armonica, la linea vocale, il lavoro pianistico. A chiudere la serata il misterioso registro di mezzosoprano, esaltato nella voce di Luana Grieco in duo con la pianista Enza D’Auria. S’inizierà con tre Canciones espanolas antiguas do Federico Garcia Lorca, Anda jaleo, Las morillas de Jaen e Las tres hojas. E’ evidente quanto Lorca si ispiri direttamente a un’ idea di rappresentazione rituale dove musica e parola sono tutt’ uno, come lo furono nella tragedia greca che, del cante jondo, in qualche modo, è l’origine. Ecco, dunque, che interprete e musica sono espressioni dello stesso gesto: come la parola nel teatro viene vivificata solamente dagli attori che la incarnano, la musica e la canzone vivono solo in quella voce che sa restituire il fascino arcaico e intrascrivibile della poesia dei suoni, che sono l’anima della Spagna e, in particolare, dell’Andalusia. Gran finale con le Siete Canciones Populares espanolas composte da Manuel De Falla nel 1914. La raccolta è un vero e proprio manifesto della poetica del compositore, profondamente legata alla tradizione musicale iberica, raccolta nella molteplicità delle sue espressioni e rielaborata alla luce delle esperienze parigine in ambito impressionista. La raccolta, basata su testi di tradizione orale, accoglie un’ampia gamma di emozioni e stati d’animo, tratteggiati da una ricerca armonica e melodica sempre fedele al colore locale, alla caleidoscopica brillantezza del paesaggio iberico: dall’angoscia nata dal disonore, concretizzata dal frequente ricorso alla dissonanza, in El paño moruno alla pungente satira di Seguidilla murciana; dalla tenera malinconia di Nana allo slancio coreutico di Asturiana, Jota e Polo, ispirate a celebri danze del folclore gitano.