di Viviana De Vita Una penosa storia di violenza domestica, abusi e soprusi alla presenza di due bambini reali vittime di una spirale di terrore senza fine. L’ennesima vicenda di maltrattamenti in famiglia che rischia di concludersi con una condanna pari a 2 anni e 2 mesi di reclusione per l’imputato, un ex bancario salernitano, è stata ricostruita in aula davanti al giudice Trivelli. Nel corso della sua requisitoria il pubblico ministero Daniela Pironti ha ripercorso le singole tappe della vicenda consumatasi tra il 2005 ed il 2009, data della separazione tra i due coniugi, in una signorile abitazione del centro della città. Il magistrato ha ridisegnato i contorni della vicenda, il «lento e graduale emergere della violenza» dagli episodi sporadici quali lanci di oggetti, percosse e ingiurie, fino «all’eruzione del vulcano» concretizzatasi nel 2009 quando l’uomo, al termine di un’escalation di violenza, ha tentato di scaraventare la coniuge giù dal terrazzo della loro abitazione. I primi episodi oggetto di contestazione risalgono al 2005 data in cui i due coniugi si trasferiscono a via Roma, vicino ai suoceri, imputati anche loro nel procedimento e per i quali il Pm ha chiesto 6 mesi di reclusione. «La cosa – ha argomentato il Pm in aula – già preoccupa la donna per il rapporto di suo marito con i genitori; presto, infatti, la scelta si rivela sbagliata per l’oppressione e l’invadenza dei suoceri della vittima. Tra i due coniugi non esiste più intimità e le cose peggiorano quando l’imputato comincia a lavorare con i genitori sviluppando un forte senso di soggezione psicologica». «Il primo calcio – ha spiegato il magistrato in aula – la vittima lo riceve nel gennaio 2006 mentre aveva le bambine in braccio». La donna chiede aiuto al suocero invitandolo a calmare il figlio ma questi, per tutta risposta, afferma che è solo colpa della nuora. Gli episodi di maltrattamento, avvenuti tutti alla presenza delle bambine – a parere del magistrato – si concretizzano attraverso continue offese verbali. Nel luglio 2007, vi è il secondo eclatante episodio di violenza. La vittima è al telefono con la sorella: il marito non sopporta che la coniuge parli con altre persone. Così, urlando, le strappa il telefono di mano e, dopo aver interrotto la comunicazione, le dà un ceffone in pieno volto (in seguito a quell’episodio la donna si è dovuta operare all’occhio), poi la strattona e la trascina fuori al terrazzo sbattendola contro la ringhiera. Appena un mese dopo, il nuovo episodio concretizzatosi, al mare, nella casa di vacanza. «Non può sostenersi – ha affermato il Pm nella sua requisitoria – che si tratti di singoli episodi di violenza»: la continuità della condotta criminosa a parere del magistrato è provata dal clima di terrore psicologico in cui la donna, che sperimenta persino l’umiliazione degli sputi del marito, è costretta a vivere con le sue figlie. La violenza psicologica «che a volte fa più male di quella fisica» è una costante nella vita della coppia. Spesso l’imputato, che è arrivato ad inviare alla coniuge 1500 messaggi dal carattere ingiurioso, si para davanti al frigorifero impedendo alla consorte di mangiare. A sperimentare la violenza dell’uomo in un caso è persino la madre della vittima raggiunta dal lancio di un paio di chiavi». Le cose cominciano a peggiorare nel 2009 quando la donna riesce a trovare un impiego come architetto al Comune di Salerno e decide di chiedere la separazione. L’uomo impazzisce di gelosia: gli episodi di violenza aumentano. In un caso l’uomo sferra un pugno così forte alla moglie che la stessa deve ricorrere alle cure ospedaliere, in un altro caso le stringe le mani al collo sempre alla presenza delle bambine e più volte la aggredisce con calci. «L’episodio più eclatante – ha affermato il Pm in aula – si registra il 26 luglio 2009. La donna è affacciata alla ringhiera del terrazzo. Ad un certo punto il coniuge, per terrorizzarla, le si avvicina “ringhiando”: “Se ti buttassi giù – afferma – nessuno lo saprebbe”. Quindi afferra la moglie per le gambe e la solleva in alto». Il folle proposito, fortunatamente, non va a segno. Intanto esce il suocero: la donna chiede aiuto ma questi, ancora una volta, le risponde dicendo che è tutta colpa sua. In due cominciano a picchiare la vittima aggredita con calci e pugni. Lei riesce finalmente a svincolarsi e chiede aiuto allertando la polizia. L’imputato non è mai finito in manette. Per lui, però, il Pm, dopo aver sottolineato «la gravità dei reati commessi non solo per i songoli episodi ma soprattutto per il terrore incusso anche alle figlie che dovevano essere parte offesa del reato» ha chiesto che, in caso di condanna, non venga applicata la sospensione della pena «in segno di prevenzione al femminicidio e per dare, un segnale a tutte le donne che subiscono violenza».
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