Torna libera la “ladra” di un neonato - Le Cronache
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Torna libera la “ladra” di un neonato

Torna libera la “ladra” di un neonato

NOCERA INFERIORE - Riconquisterà la completa libertà entro la fine del mese prossimo, maggio, l’infermiera che, sei anni fa, rapì un neonato dall’ospedale di Nocera Inferiore. Annarita Buonocore, nocerina, ritornerà donna libera avviandosi al completamento del percorso di affidamento ai servizi sociali in prova. La donna, infatti, aveva il permesso di andare a lavorare in ospedale, al Cardarelli a Napoli, per poi rincasare. Ora, a distanza di anni, il percorso giudiziario sembra avviarsi alla conclusione. La vicenda fece molto rumore assurgendo immediatamente agli onori della cronaca nazionale. Era il 7 giugno del 2010 quanto scattò l’allarme. Un neonato era stato portato via dalla culla del reparto ginecologico dell’ospedale Umberto I di Nocera Inferiore. Al momento del rapimento il bimbo era nato da appena tre ore e l’allerta non fu proprio tempestivo. I genitori del piccolo Luca, papà Fabio e mamma Annalisa Fortunato, precipitare nella disperazione confidando nelle ricerche e nella mobilitazione generale. A dare una svolta alle ricerche fu l’identitkit fornito da un testimone: “Ho visto una infermiera portare via il bambino, somigliava alla mia vicina di casa”. Passano le ore, si susseguono le notizie. Poi in serata, il ritrovamento. Il piccolo Luca viene ritrovato. Era a casa della donna, in pieno centro cittadino.Con la Buonocore fu in un primo tempo fermata anche la figlia, poi rilasciata. Annarita, separata, vive con due figlie (una ragazza di 19 anni e una minore di 11all’epoca dei fatti), aveva preso un giorno di ferie. Annarita Buonocore di fronte agli inquirenti si sarebbe chiusa in un mutismo totale poi avrebbe spiegato il movente del suo folle gesto: conquistare il proprio compagno dopo un aborto. I protagonisti.Il medico. È stato un medico dell’ospedale Umberto I di Nocera a consentire alla polizia di arrivare ad Annarita Bonocore. L’uomo conosceva la Buonocore e stava uscendo dall’ospedale quando l’ha incrociata, con un bambino in braccio. Al momento non ha fatto caso alla cosa ma quando è stato diffuso l’identikit della «falsa» infermiera che aveva rapito un bimbo, ha riconosciuto la donna nell’immagine. A quel punto il medico ha immediatamente avvertito la polizia, che ha mostrato una foto della donna alla madre di Luca, che ha riconosciuto l’infermiera. Dopo la grande bufera mediateca, la donna ritornò in auge solo un anno dopo. Si seppe che avrebbe atteso la sentenza della Corte d’Appello di Salerno nel reparto di Medicina dell’ospedale Cardarelli dove è tornata a lavorare. Come infermiera. Un fatto di giudiziaria come tanti, sembrava, se la protagonista non fosse stata Annarita Buonocore. La donna si è riappropriata di una parziale normalità da oltre un mese. In silenzio. Per non destare ulteriore clamore. Rispettando, ovviamente, dei limiti imposti dai giudici. Come, per esempio, effettuare i turni solo di mattina. Ma pur sempre in reparto. I suoi avvocati, Giuseppe Bongiorno e Aldo Di Vito, dopo aver letto le motivazioni della condanna,fecero appello per avere una riduzione della pena contestando l’accusa e, non ultimo, una provvisionale (quantificata in 30mila euro) ritenuta «non equilibrata». La sentenza, emessa dal Gup Vincenzo Ferrara del tribunale di Nocera Inferiore, che accolse le richieste del pm Giancarlo Russo riconoscendo la donna colpevole di sequestro di persona e non, come avevano chiesto i difensori di Buonocore, di sottrazione di minore. «Una pena eccessiva, non proporzionata al reato commesso — spiegò l’avvocato Bongiorno». Il lavoro, dunque. Il ritorno in ospedale che fece tanto discutere. «Non capisco tutto questo clamore per un ritorno al proprio posto di lavoro. Un detenuto ha il diritto di farlo, almeno chiederlo, specie se questo rappresenta l’unica fonte di sostegno economico per la propria famiglia. Non dimentichiamo che la signora ha due figlie – spiegò Aldo Di Vito, difensore dell’infermiera -. Sembra strano solo perchè intorno alla vicenda c’è stato un clamore che definisco eccessivo».