Shoah e Foibe, orrore da non dimenticare - Le Cronache
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Shoah e Foibe, orrore da non dimenticare

«Un dottore ci disse che il giorno dopo ci avrebbero fucilati»: sono state scioccanti le parole di Vincenzo Iacuzzi, sopravvissuto all’orrore delle Foibe di Tito e presente ieri mattina al Salone Azzurro della Prefettura di Salerno, in occasione del “giorno della memoria” e il “giorno del ricordo”. La cerimonia è iniziata alle 10,30 con un’esibizione musicale dei ragazzi della scuola media Monterisi, i quali hanno suonato Auschwitz di Francesco Guccini. È seguito poi il lungo discorso di apertura del Prefetto di Salerno Gerarda Maria Pantalone, che ha parlato, fra le altre cose, di «un impegno comune, ovvero quello di denunciare e ricordare le atrocità della Shoah, per analizzare gli errori del passato e costruire una società migliore». Ed è esattamente quello che è stato fatto ieri, anche tramite due giovanissimi, due studenti del Liceo Classico “De Sanctis” di Salerno i quali hanno letto ad una platea gremita alcuni loro pensieri riguardo la Shoah.
Ma il momento più toccante è stato indubbiamente quando il sopravvissuto Vincenzo Iacuzzi ha raccontato la sua storia: «Eravamo circa in 300 persone, ne presero 29 a caso e le portarono via, per ucciderle. Il destino nostro era di perire in quelle foibe». Vincenzo, che allora era ragazzo, continua con voce flebile ma risoluta, la voce di chi ha visto l’inferno ed è tornato indietro per raccontarlo: «Ci rinchiusero per quattro giorni nei vagoni, costretti a bere acqua putrida con i vermi dentro. Per fortuna, un generale spagnolo che parlava diverse lingue impedì agli altri di ucciderci».
Sette le medaglie d’onore concesse dal Presidente della Repubblica Italiana consegnate ieri mattina: cinque sono state consegnate ai familiari delle vittime della Shoah, due invece ai congiunti dei caduti nel martirio delle Foibe.
Vi sono stati applausi scroscianti e qualche momento di commozione in cui la figlia di uno dei deportati non ha saputo trattenere le lacrime raccontando di suo padre: «Nelle sue lettere non c’era mai disperazione ma speranza, scriveva “che dio ci salvi”».
Oggi noi ricordiamo, con la speranza che certi orrori immani non si verifichino mai più.