SALERNO DA MANGIARE - Le Cronache
Extra

SALERNO DA MANGIARE

Un tempo c’era la “Milano da bere” ed ora, con De Luca, la “Salerno da mangiare”, anche se coloro che si ingozzano sono i soliti pochi noti. I cittadini che, senza conoscere una nota, si beano della stagione lirica del Verdi, quelli che si incantano di fronte alle “luci di artista” con ebeti “oooh”, che non si chiedono quanto costi l’inutile stazione marittima, più inutile se si sposterà, come vuole il sindaco, l’attracco crocieristico al lungomare, che si commuovono sulla piazza della libertà senza immaginare il suo prezzo e la sua funzione di attrattore per una colata di cemento privata, non si sono accorti come tutto ciò gravi sulle loro spalle, sulle alte tariffe dei parcheggi, sulle elevate quote per l’Imu, i rifiuti, l’irpef comunale, il gas municipalizzato, le esose multe per ogni piccola infrazione. Con le pezze al culo, figli e nipoti disoccupati (i lavori pubblici non hanno dato alla città un solo posto in più) con gli esercizi commerciali al lumicino, i salernitani, rimbecilliti, continuano ad attendere le luminarie natalizie degne della festa di san Gennariello, per applaudire De Luca, il quale li ricambia definendoli “cafoni”, indegni del suo governo. Una tale vistosa contraddizione è stata in parte percepita dai commercianti. La difficoltà, date le casse comunali vuote, di finanziare le luminarie, ha indotto infatti il sindaco a chiedere un contributo ai negozianti. Rivolto a trovare altro denaro, però, nel medesimo frangente, l’ineffabile primo cittadino ha aumentato la quota per la sosta in alcuni parcheggi. Di qui la protesta dei bottegai che in un primo tempo avevano pensato di offrire il loro obolo e che hanno visto sottratti i clienti a causa del caro-parking. In realtà a Salerno tutto ciò che si realizza è nel segno di fortissimi costi per la città ed i cittadini. Le alte spese cui il comune va incontro per cose inutili come le luminarie (l’amore per le fiaccole e per un infelice rinnovamento della città ha contraddistinto un predecessore di De Luca, a Roma, l’imperatore Nerone), hanno cioè condotto all’invenzione della vendita ai privati delle proprietà pubbliche dei salernitani. De Luca ha iniziato così con la vendita del sottosuolo, tanto, si sarà detto, nessuno se ne accorgerà. Ed ecco venduto o concesso, il che nel lungo termine è la stessa cosa, il sottosuolo di piazza Malta, quello di Torrione, e così via per tutti i parcheggi interrati in aree pubbliche offerte ai privati al fine di fare cassa. Si dirà che il sottosuolo non ci serve. E tuttavia se mai una nuova amministrazione volesse definire un nuovo assetto dei luoghi dove sono stati concessi i parcheggi interrati, dovrebbe avere a che fare, ad un probabile alto prezzo, con i privati proprietari o concessionari. Poi è stato dato l’assalto al mare con quattro porti in poco più di quattro chilometri di costa, ancora offerti ai privati a spese dei cittadini cui sono state tolte le spiagge. In questo senso è davvero scandaloso quanto sostiene l’ingegnere Ilardi a proposito del suo progetto per un nuovo porto a Pastena, in sostituzione della spiaggia con gli attracchi per i pescatori, spacciato per una “nuova Montecarlo”. In questo caso infatti la contraddizione è palese: si toglie mare, spiaggia e attracchi ai cittadini per dare ad un imprenditore l’opportunità di lucrare su un “bene comune”, con la costruzione sui moli di volumi edilizi per scopi speculativi in una sorta di lottizzazione del mare pubblico a fini privati. Si chiede: perché Ilardi? Così come per il Marina d’Arechi, perché Gallozzi? Anche a voler concedere o vendere il mare, non dovrebbe essere emanato un pubblico bando con richiesta di offerte? E’ stato fatto? O la sola ideazione di un progetto costruttivo in mare da diritto alla sua realizzazione ed alla concessione? Dal momento che il piccolo sito di Pastena è sotto vincolo paesaggistico, Ilardi sostiene che lo stesso vincolo non contempla l’inedificabilità assoluta. A seguire lui quindi si potrebbe costruire sulla grotta azzurra di Capri, tappare con un porto Positano, e così via, tanto, in tal modo, si realizzerebbe una nuova Montecarlo! Vuoi vedere che i salernitani cui viene tolta la costa lo debbano anche ringraziare? La chicca ultima, come è noto, è la previsione di un ristorante di un produttore vinicolo avellinese al posto dei giardini alle spalle del teatro Verdi. In primo luogo è da dire che il Verdi, voluto dal sindaco Luciani nel 1863, costituisce una unità con la villa comunale e, pertanto, con la parte di giardino alle sue spalle. Luciani infatti concepì insieme lo sviluppo della città verso Vietri ed il suo collegamento con il resto della regione. Come sa anche il più incolto architetto (evidentemente al comune non vi sono architetti) la città ottocentesca si fonda sui due poli della stazione ferroviaria e del teatro con villa comunale. Come a Salerno. Togliere parte del verde all’unità originaria teatro-villacomunale, sarebbe come togliere al Duomo il campanile, alterare cioè un luogo di riconoscibilità storica. Se poi si va al progetto è probabile il viticultore si serva, come in passato, per l’edificio della sua cantina e di un annesso ristorante, dell’architetta nipponico-avellinese, Hikaru Mori, progettista anche delle due torri speculative all’Arechi, la quale ha ideato, nel 2004, nell’aperta campagna di Atripalda una orribile scatola di vetro con pesanti membrature di acciaio. Nel considerare come la soprintendenza denunci al giudice penale poveri contadini rei di aver allargato in aree protette una finestra, non si comprende come il progetto del ricco inprenditore vinicolo sia potuto passare. Se quindi la sensibilità dell’oste avellinese e della sua architetta è quella dimostrata ad Atripalda aspettiamoci uno sfregio al Teatro Verdi che non sarebbe da avvicinare neppure con un segno di Le Corbusier. Ah, dimenticavo, chi si occupa del brand del vignaiolo di Avellino è Vignelli. Via allora, tutti a “strafogà”.