Riccardo Canessa, la cultura, il “suo” teatro - Le Cronache
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Riccardo Canessa, la cultura, il “suo” teatro

Riccardo Canessa, la cultura, il “suo” teatro

di Valentina Vitiello

Ieri, alla vigilia di questa giornata, dedicata al teatro, abbiamo potuto dialogare con un uomo di teatro, di stirpe e di fatto, il regista Riccardo Canessa. Il Maestro il teatro lo ha nel sangue, quello di prosa da parte della madre, Italia Carloni e quello musicale grazie al padre Francesco, già soprintendente del Teatro San Carlo. Un destino quello di Riccardo segnato dalla gavetta, da un’educazione severa alla sacralità del luogo, della polvere, del profumo, dell’afrore del palcoscenico, abbinata ad una biblioteca e a cimeli che immaginiamo infinita e unica. Da qui il suo intercalare di una frase, che si trasforma in raccomandazione: “La cultura è essenziale, il pubblico riconosce quando un’opera è eseguita e creata da artisti colti, che optano per scelte pensate e consapevoli”, questa è una delle frasi che il Maestro Riccardo Canessa ha ribadito e sottolineato più volte durante l’incontro avvenuto ieri: per lavorare nel mondo del teatro, c’è bisogno di possedere una gran conoscenza, proprio perché gli spettatori riescono a percepire quando la preparazione dell’opera non è sufficiente. Poi, la conversazione ha preso quella piega che solo il napoletano “nobile” nella lingua e nella mente sa indirizzare, tra una parola pesante quanto una pietra e l’accattivante narrazione, mai fuor di segno. Il Maestro spiega: “Il teatro non è mai solo il palcoscenico: dietro le quinte avviene la gran parte del lavoro. Le quinte sono la parte creativa, e costituiscono una parte fondamentale perché la vera e propria formazione avviene qui e nei camerini. Spesso, è proprio in questi due luoghi che nascono le storie d’amore più belle e coinvolgenti, che devono però restare occulte. Molto conosciuta è la storia tra Don Chisciotte di Cervantes e Dulcinea: la donna, non essendo interessata all’amore di questi, decide di affidargli una missione, ovvero quella di recuperare un collière, che avrebbe consacrato il loro amore. Convinta che Don Chisciotte non sarebbe stato all’altezza di questo compito, Dulcinea non si sarebbe mai immaginata che l’uomo sarebbe invece riuscito nell’impresa, ed è durante una festa che comprende questa notizia e si vede costretta a rifiutarlo davanti agli invitati. L’errore di Don Chisciotte è stato proprio quello di rivelare i suoi sentimenti per Dulcinea a tutti, un errore non accettabile in ambito teatrale, un mondo in cui non è ammissibile esporre le relazioni, che devono restare private.” Il Maestro Canessa passa poi a parlare (siamo in periodo di Pasqua!) della Cavalleria Rusticana: “La Cavalleria rusticana è un’opera verista, un movimento artistico strettamente legato al sud Italia, molto orecchiabile e particolare, un’opera che non può staccarsi dal luogo in cui è ambientata: a differenza di tante altre opere, in cui è presente un’ambientazione non incisiva per la storia, la Cavalleria Rusticana è profondamente legata alla Sicilia, sia musicalmente parlando che per le vicende narrate. La messa in scena di Cavalleria rusticana non è semplice, soprattutto per quanto riguarda la scena in cui viene mostrata l’arrivo di Alfio a cavallo. Portare un animale sul palcoscenico non è per nulla agevole: sono numerose e rigorose le norme riguardanti gli animali impiegati nel mondo teatrale, è necessario avere esperti pronti ad intervenire e mettere a proprio agio l’animale. Fare ciò non è sempre possibile, ed è per questo motivo che quando si mette in scena Cavalleria Rusticana, spesso i cavalli vengono sostituiti da proiezioni, oppure non vengono del tutto mostrati. Quando arriva la scena di Alfio, nel caso in cui l’animale non venga mostrato, si sentono i passi del cavallo e i suoi sonagli, ma il protagonista viene mostrato col frustino in mano, quasi come se fosse appena sceso dal destriero. Oggigiorno è più costoso inserire degli animali in scena rispetto a un tenore. Spesso e volentieri ho avuto difficoltà con le interpretatrici di Lola, la compagna di Alfio e amante di Turiddu: il suo canto dovrebbe sentirsi fuori scena, ma non sempre le attrici che la interpretano sono in grado e riescono ad andare a tempo con la musica. Ed è proprio qui che intervengo con degli escamotage, cercando di rimediare a queste situazioni spiacevoli utilizzando delle toppe.” Il Maestro racconta poi che sua madre Italia era attrice nella compagnia dei De Filippo. Eduardo, insieme ai fratelli Peppino e Titina, fondarono la famosa “Compagnia umoristica dei tre fratelli De Filippo”. “Questa compagnia era conosciuta anche per le sue famose parodie”, chiarisce il Maestro Canessa, “e nel loro repertorio vi era anche una parodia della Cavalleria Rusticana e la Vedova Allegra. All’epoca era di consuetudine frequentare il teatro con una certa regolarità, ed era per questo motivo che Cavalleria Rusticana era ben conosciuta dalle persone: è sempre per questo motivo che la compagnia può intervenire, creandone una parodia, ovvero la caricatura di un’opera o di una persona molto note alle persone. Una scena memorabile di questa parodia è quando Santuzza, dimentica la sua battura e Eduardo De Filippo le urla “la battuta” e lei risponde “Ah si, la battuta, a te mala Pasqua”, proprio perché l’opera è ambientata durante la giornata di Pasqua. Quando la Cavalleria Rusticana venne proposta e diretta dal suo autore Pietro Mascagni al San Carlo, gran parte degli spettatori conosceva già la parodia, in cui la “mala Pasqua” era augurata da Santuzza-Titina, con grande sufficienza, provocando una sonora risata, in uno dei punti più drammatici dell’opera, oltraggiando così il Maestro, che riuscì a far distruggere il copione. Il Maestro Canessa ha concluso il suo intervento, parlando dell’opera che vorrebbe rappresentare alla riapertura dei teatri: “L’opera che sicuramente voglio mettere in scena a Salerno, appena sarà possibile, è il Macbeth di Verdi, un’opera dove il connubio tra Shakespeare e Verdi si mostra come una perfetta fusione”, dandoci, infine, un compito, una specie di investitura, quello di far rinascere il teatro, salvaguardando il melodramma, invenzione di marca italiana, svecchiando il pubblico e riportandolo al vecchio splendore, quando la partecipazione era piena per intere settimane di repliche.