Raffaella Cardaropoli plays Dvoràk - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Raffaella Cardaropoli plays Dvoràk

Raffaella Cardaropoli plays Dvoràk

Questa sera alle ore 21, i riflettori del teatro delle Arti di Salerno si accenderanno sulla giovanissima violoncellista, premio Abbado 2016

 Di OLGA CHIEFFI

Sarà l’allieva di Liberato Santarpino, la violoncellista Raffaella Caradaropoli a chiudere la stagione della neonata Orchestra Sinfonica di Salerno “Claudio Abbado”. Uno dei talenti più luminosi del Conservatorio di Musica “G.Martucci”, si cimenterà con il concerto per violoncello e orchestra n°2 in Si Minore op.104 in Si Minore di Antonin Dvoràk, una delle opere più intense del genio slavo. Si resta colpiti, oltre che dalla sapiente scrittura e dalla qualità melodica del brano, anche dal consapevole dialogo che Dvorˇák instaura con la tradizione del genere, recuperando perfino nel primo movimento il ritornello orchestrale tipico del concerto classico: l’orchestra presenta i temi principali e solo in un secondo momento il solista si incarica di riprenderli ed elaborarli. Dvorˇák rinuncia quindi a una delle principali caratteristiche del concerto ottocentesco, il dialogo tra solista e orchestra che si avvia, con un effetto di grande drammaticità, fin dalle battute iniziali, Il brano è diviso nei tradizionali tre movimenti, il primo ampio e drammatico, il lirico Adagio centrale e il terzo più ‘leggero’ e ritmico (fin dalla graduale presentazione del tema principale), una sorta di fusione tra il rondò e la prediletta danza slava. Boemia terra forte, culla della cultura slava, le cui fiabe raccontano di una morale semplice e legata alla natura, terra la cui consapevolezza artistica è sempre scaturita da una pragmatica vitalit ed ecco che a completare il programma monografico ci sarà la amatissima sinfonia dal Nuovo Mondo. La storia della partitura è naturalmente una storia americana, e parte da una donna. Non una donna qualsiasi, ma una signora di gran carattere, poco abituata a sentirsi dire di no. Fu lei, Jeanette Thurber, che nel giugno 1891 invitò Dvořák a New York per dirigere il National Conservatory of Music, una struttura a cui stava lavorando da alcuni anni. E il compositore accettò. Di forma sostanzialmente ottocentesca per stile e struttura, essa impiega sia elementi folclorici cechi sia formule ritmiche e melodiche derivate dalla tradizione americana. Infatti nel primo movimento riecheggia il celebre spiritual “Swing low, sweet chariot”, mentre il secondo, con lo struggente tema del corno inglese, e il terzo sono ispirati a un poema epico dei Pellirosse. In realtà di mondi ne intreccia almeno tre: quello scoperto con l’America, quello della Mitteleuropa e quello dell’antico Oriente. Il risultato è di grande “felicità” musicale, ben nota anche al grande pubblico. I giovani musicisti, guidati da Ivan Antonio, si cimenteranno con il flusso narrativo del racconto sinfonico, adattandosi alle sue esigenze con tutte le possibilità a loro disposizione. Il movimento più celebre della Sinfonia è il Largo, che si apre con un corale modulante degli ottoni seguito da una nostalgica melodia del corno inglese (divenuta molto popolare negli Stati Uniti); melodia ripresa alla fine del movimento, dopo un episodio dal carattere pastorale, introdotto da un disegno staccato dell’oboe, caratterizzato da un’amplificazione del tessuto orchestrale, nella quale si innesta ancora il tema ciclico. Questo movimento e il successivo Scherzo sono entrambi ispirati a un poemetto di Henry Longfellow, intitolato Song of Hiawatha, che Jeannette Thurber aveva donato al compositore: il Largo evoca i funerali della sposa dell’eroe; lo Scherzo richiama una danza di pellirosse nella foresta, che si trasforma in una musica piena di vitalità, costruita con una parte principale divisa in due episodi distinti, un doppio Trio, e una coda che ripresenta più volte il tema ciclico. La Sinfonia si conclude con il trascinante finale, Allegro con fuoco, che ricapitola, come già detto, i temi della Sinfonia, riproponendo il tema principale con la forza di una apoteosi, e che appare, nel suo sviluppo multiforme e nella duttilissima orchestrazione, come una perfetta sintesi delle componenti boeme, mitteleuropee e americane del linguaggio sinfonico di Dvorak.